Mafia ed armi, così a Regalbuto e Pietraperzia comandavano i clan
√i√i - 12/09/2024
C’erano 3 fucili mitragliatori d’assalto -Kalashnikov-, mitragliatori 8 fucili, e 9 pistole, nonché il relativo munizionamento nei due arsenali militari della mafia nella disponibilità delle famiglie di Pietraperzia e Regalbuto coinvolte nell’operazione Lua Mater, conclusa dalla polizia e dalla Dda di Caltanissetta con 13 misure cautelari. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento personale aggravato, detenzione e porto abusivo di armi da guerra armi clandestine e comuni da sparo.
L’indagine a Pietraperzia
Una prima indagine, diretta dalla D.D.A della Procura di Caltanissetta, condotta dalla SISCO di Caltanissetta e indirizzata nei confronti della famiglia mafiosa di Pietraperzia, ha consentito di sequestrare, con la Squadra Mobile di Enna, una parte considerevole del suddetto arsenale e di individuare i soggetti indiziati di averne curato la manutenzione e la custodia per conto delle articolazioni di cosa nostra operanti nella stessa Pietraperzia e in Barrafranca.
Le intercettazioni
Le intercettazioni svolte nei confronti di B.L., già condannato per associazione mafiosa, in quanto ritenuto componente della famiglia mafiosa di Pietraperzia nell’ambito dell’operazione Primavera, hanno fatto emergere come l’uomo, nella una sua abitazione rurale, fosse in possesso di più armi di cui, presumibilmente, curava la manutenzione con l’ausilio del figlio B.F.. L proprietà di B.L. venne sottoposta ad una prima perquisizione ma furono rinvenute poche cartucce calibro 12 e alcune parti di fucile.
Il tesoro nascosto
Spaventati che gli inquirenti trovassero le armi, gli indagati si sarebbero avvalsi di un loro fiancheggiatore per dissotterrare, mediante un escavatore, alcuni sacchi di plastica che si trovavano nel terreno di questo fondo, per poi essere definitivamente interrati in un altro appezzamento non distante dal loro. Un’operazione svolta nel corso della notte e all’insaputa del proprietario del fondo.
Ricostruendo questo spostamento, anche attraverso più telecamere dotate di visore termico, gli agenti sono riusciti a individuare l’esatto punto in cui erano nascosti i sacchi che contenevano 6 pistole, 5 fucili, 1 kalashnikov e 1 mitragliatore da guerra, nonché più di 1.000 proiettili, comuni e da guerra, di diverso calibro.
Il mosaico mafioso
Il GIP di Caltanissetta su richiesta della Dda della Procura di Caltanissetta, ha ritenuto la sussistenza di un grave quadro indiziario in relazione all’organicità a Cosa nostra, famiglia mafiosa di Pietraperzia, di B. L., di sua moglie F.G. e di suo figlio B. F., nonché del barrese A. A. D., i quali potevano presumibilmente contare su una schiera di persone che, essendo a loro disposizione, gli avrebbero prestato assistenza durante le gli spostamenti dell’arsenale e li avrebbero favoriti ad eludere le indagini a loro carico, sia mediante la bonifica di un’autovettura che attraverso il rilascio di false dichiarazioni agli inquirenti.
L’indagine a Regalbuto
Un’ulteriore indagine, condotta dalla Squadra Mobile di Enna e dal Commissariato di Leonforte, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Caltanissetta, ha consentito di raccogliere gravi elementi indiziari in ordine alla riorganizzazione dell’articolazione regalbutese della famiglia di Enna di cosa nostra, ad opera dal pregiudicato mafioso A. P. A., già condannato con sentenza definitiva nell’operazione “Go Kart”.
L’arsenale nel bar
Nel corso dell’attività investigativa, nel magazzino di un bar ubicato nella piazza centrale di Regalbuto, è stato rinvenuto e sequestrato un arsenale composto da armi da guerra e da armi comuni, che il titolare del bar, A. P. F., arrestato in flagranza il 1° marzo 2024, cugino di A.P.A., avrebbe detenuto per conto dell’organizzazione mafiosa.
In particolare, nel corso di una perquisizione, effettuata da personale della Squadra Mobile di Enna e della Squadra di polizia giudiziaria del Commissariato di Leonforte, sono state rinvenute 1 kalashnikov, 3 fucili, 2 pistole semiautomatiche e 1 revolver, con relativo munizionamento da guerra, nonché più di 250 munizioni, comuni e da guerra, di diverso calibro.
I legami con Santapaola di Catania
“L’imponente arsenale fornisce una chiara indicazione della pericolosità della consorteria mafiosa che ne disponeva e che benché tradizionalmente facente parte della provincia mafiosa di Enna, secondo i gravi indizi acquisiti nel corso delle indagini, risulta intrattenere strettissimi rapporti di collaborazione con il clan Santapaola di Catania ed in particolare con esponenti di articolazioni dei clan operanti nell’hinterland catanese” spiegano gli inquirenti.
Secondo la polizia dopo il sequestro, avvenuto nel marzo scorso, gli indagati avrebbero voluto ricostituire l’arsenale perduto, con una febbrile ricerca di armi.
Il controllo del boss
Secondo il grave quadro indiziario recepito nell’ordinanza di custodia cautelare, A. P. A., una volta ritornato in libertà dopo aver espiato la pena inflittagli per la precedente condanna per associazione mafiosa, ha cercato di ricostruire i rapporti associativi, riproponendosi come referente di cosa nostra a Regalbuto, si all’interno della provincia di Enna, sia all’esterno, con particolare riferimento alla provincia di Catania. Nel corso dell’indagine sono state ricostruite numerose vicende indicative del controllo mafioso che avrebbe esercitato A.P.A. quale affiliato dell’organizzazione Cosa Nostra, referente del territorio di Regalbuto.
ll “mediatore”
Sintomatica del controllo del territorio è, per esempio, l’attività di regolazione, tradizionalmente mafiosa, delle controversie private, che A.P.A. esercitava sistematicamente. Infatti, gravi indizi sono stati acquisiti in ordine al suo intervento a seguito della richiesta di un soggetto che si riteneva vittima di “prevaricazioni” ad opera di un vicino; ovvero, al suo intervento nell’ambito di contrasti sorti a seguito di affari illeciti, come quando sarebbe stato chiamato ad interessarsi, su richiesta di soggetti affiliati al clan Santapaola, per il recupero di un credito legato ad una cessione di sostanza stupefacente, ad una persona di Regalbuto.
Sollecitato dalle vittime dei furti sarebbe intervenuto con successo sia per il recupero di un’auto Mitsubishi Pajero sia per il recupero di un furgone, entrambi rubati a Regalbuto (nel secondo caso dietro pagamento di un riscatto).
La spedizione punitiva
A.P.A. avrebbe inoltre rintracciato un soggetto ritenuto responsabile di aver spacciato stupefacente e Regalbuto, senza la sua “autorizzazione”, e l’avrebbe percosso ripetutamente, senza che quest’ultimo, benché apparentemente più prestante e giovane, reagisse in alcun modo; la condotta è sintomatica di un ruolo mafioso, che comporta il potere di controllare le attività illecite poste in essere sul suo territorio, consentendole o meno.
Sono stati acquisiti gravi indizi del fatto che in occasione di un furto di ovini la vittima aveva chiesto aiuto ad A.P.A., che avrebbe effettivamente individuato il presunto autore.
Quindi i due soggetti, incaricati da A.P.A., si sarebbero resi responsabili di una spedizione punitiva nei confronti del presunto responsabile del furto, picchiandolo duramente e sottraendogli un ciclomotore, consumando così il reato di rapina. Il ciclomotore veniva poi restituito su ordine dello stesso A.P.A.:lo scopo di quest’ultimo nell’infliggere la punizione sarebbe stato anche quello di verificare se il presunto autore del furto fosse appoggiato da soggetti che potessero prenderne le difese, mettendo in discussione la sua leadership criminale a Regalbuto.
I casi di estorsione
Per quanto concerne la contestazione del reato di estorsione, nel corso del 2023 e del 2024, sono stati acquisiti gravi indizi in ordine all’intervento di A.P.A. in occasione dell’acquisto ai pubblici incanti di un appartamento, già di proprietà di C.G. – soggetto a lui vicino, come risulta dalle intercettazioni, che si sarebbe messo a disposizione per comunicare con esponenti dei clan catanesi e per organizzare incontri-.
In particolare, A.P.A. si inserisce nella vicenda, secondo la ricostruzione della D.D.A. recepita nell’ordinanza di custodia, intimando all’acquirente all’incanto dell’immobile, già di proprietà di C.G., di versare una somma di denaro in suo favore per l’acquisto, da parte di quest’ultimo, di un’altra abitazione ove andare a vivere, così subordinando la possibilità del legittimo acquirente di entrare in possesso dell’appartamento.
Altri elementi indizianti sono stati acquisiti in ordine a una serie di contatti ed incontri finalizzati ad organizzare un traffico di stupefacenti con esponenti della ’ndrangheta.