Mafia nel Dittaino, “mai emesso fatture per celare estorsioni”

Ha negato le accuse mosse dai magistrati della Dda di Caltanissetta e dei carabinieri del Ros Antonino Martorana, tra i sette arrestati dell’operazione antimafia denominata Stiela su mafia, estorsione, usura e riciclaggio nella valle del Dittaino.

La difesa di Martorana

L’indagato, difeso dall’avvocato Lorenzo Caruso, ha risposto alle domande del gip del Tribunale in occasione dell’interrogatorio di garanzia, spiegando che, in merito all’accusa di riciclaggio, non avrebbe mai emesso fatture per coprire una estorsione ai danni di un imprenditore. Inoltre, ha anche sostenuto di essere totalmente estraneo ai fatti, per cui il difensore ha presentato una richiesta di revoca della misura cautelare.

Gli interrogatori

Sono stati già sentiti altri indagati, tra cui Sebastiano Gurgone, indicato dalla Dda come il capo della famiglia di Valguarnera e difeso dall’avvocato Gaetano Palermo: l’anziano presunto boss, però, si avvalso delle facoltà di non rispondere. Un percorso seguito anche dalle altre persone arrestate.

I sette arrestati

Oltre a Gurgone, sono finiti in carcere Sebastiano Calcagno, 34 anni, Giuseppe Scibona, 70 anni, Cristoforo Scibona, 45 anni, tutti residenti a Valguarnera Caropepe, indiziati per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, aggravata dalla disponibilità di armi, ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Arresti domiciliari per Antonino Martorana, 51 anni indagato per il delitto di riciclaggio, Filippo Greco, 63 anni, indagato per il delitto  di assistenza agli associati, ed, infine, di Rosario Catalano, 84 anni, indagato per il reato di usura.

Le estorsioni nella Valle del Dittaino

L’indagine ha fatto emergere gravi indizi circa  una presunta pressione estorsiva ai danni di importanti attività produttive della Valle del Dittaino, sistematicamente vessate al fine di lucrare prevalentemente somme di denaro, sintomo del  perdurante assoggettamento di alcuni operatori economici di quella zona.

Due imprenditori vittime

In particolare, Gurgone, a partire dalla sua scarcerazione, avrebbe attuato strategie delittuose volte alla riscossione del “pizzo” con l’indispensabile complicità, secondo i gravi indizi ritenuti dal GIP, di Calcagno,  Cristoforo e Giuseppe Scibona, ricevendo con cadenza annuale, somme di denaro da parte di due imprenditori della Valle del Dittaino. Il presunto sodalizio facente capo a Gurgone avrebbe  avuto la disponibilità di armi, da utilizzare all’occorrenza per perseguire gli scopi illeciti, alcune delle quali detenute da diversi anni, perché sarebbero già appartenute a Domenico Calcagno.