Regalbuto. Diga Pozzillo e contaminazione da alghe rosse
Regalbuto - 16/04/2014
In questi giorni abbiamo avuto maniera di leggere e sentire dell’allarme lanciato da un gruppo di ambientalisti (sempre questi…) rispetto lo sversamento di acque invasate alla diga Pozzillo e contaminate da alghe rosse. L’impressione che si è avuta è che le alghe siano degli alieni, finiti là chissà per quale incredibile sorte e pronti a divorare uomini e cose in un gigantesco BLOB, che del mitico gelatinoso personaggio ha anche il colore.
Di che si tratta? Perché se ne parla?
Intanto va detto che il Lago Pozzillo, che si stende per diverse centinaia di ettari in una vallata posta ai piedi di Agira e Regalbuto, è un lago artificiale, creato sbarrando con una diga in cemento armato il corso naturale del Fiume Salso Cimarosa, l’antico Kyamosoros, lì dove in località Timpone Medico, un tempo lo stesso scavava una gola tra le quarzareniti fliscioidi. Il lago aveva fini sia idroelettrici, così come l’Ancipa, che di approvvigionamento idrico per le colture poste a valle dell’invaso e giù, sino alla piana di Catania.
Il costo ambientale della costruzione dell’invaso, il più grande dell’isola, fu pesantissimo, venne allagata una zona planiziale che era interessata da terreni non di rado coltivati con perizia ad orti e vigne, ma l’avvento delle necessità moderne faceva allora le sue vittime. Con il passare degli anni lo specchio d’acqua, dalle frequenti oscillazioni di livello, divenne una nota insostituibile del paesaggio rurale di questo splendido pezzo di Sicilia al punto tale da meritarsi intere pagine patinate di riviste di settore, filmati e citazioni. L’area, poco a poco naturalizzatasi, divenne luogo di passo, di sosta e persino di nidificazione di specie migratrici e stanziali anche rare, moriglioni, mestoloni, folaghe, ma anche aironi, gru, cormorani e, persino, qualche frastornato pellicano che diede al tutto un sapore esotico. Queste condizioni naturali fecero includere l’intera area nel novero dei Siti di Importanza Comunitaria come da direttiva Habitat della UE.
Come dire… il futuro pareva segnato, le necessità idroelettriche e agricole legate a doppio filo ad opportunità naturalistiche e quindi anche turistiche e ricreative di europea dimensione… e invece?
E invece no! Come troppo spesso accade, in questa landa che, dimenticata fa di tutto per dimenticarsi, il lago dovette fare i conti con la incapacità a immaginare percorsi logici. Già l’allarme venne anni ed anni addietro, in una calda estate nelle acque spuntò un vibrione di colera, si un maledetto microrganismo, uno di quelli che fa accapponare la pelle solo a pensarci, che ci getta indietro ai tempi del colera e pure senza l’amore. Si analizzò, si dibatté, si chiuse il lago, si accusò, e, infine si dimenticò, il vibrione così com’era venuto se ne era andato, i sogni tornavano ad esser tranquilli ed il lago rifletteva la luna. Ma come era stato che il vibrioncello si era tuffato nello specchio argenteo?
Il lago nasce, così come dissi prima, dallo sbarramento del Fiume Salso Cimarosa, il quale nasce in diverse braccia dalla zona nordoccidentale della nostra provincia. In verità nasce addirittura in provincia di Palermo, comune di Gangi, dove dalle contrade di confine scendono le prime acque del fiumetto di Sperlinga e da lì giù prendendo il Salso da Sperone, il Fiumetto di Nicosia, il Musa Scillicone, il Fiume di Cerami, il Fiume Calogno, acque torrentizie da Nissoria, parte delle acque del versante Nord di Agira, il Fiume di Gagliano.
Una sorta di impluvio gigantesco, da montagne, paesi e campagne. Tutte queste acque, nonostante lo stato ancora naturale dell’asta fluviale, solo in piccole parti investita da interventi di “irregimentazione”, sono impattate da scarichi reflui. Dei centri le cui acque vanno verso la diga Sperlinga, Nicosia, Capizzi, Gagliano, Agira non sono depurati. Ben che vada al portato chimico delle acque di fogna e delle acque di strada, si deve unire quello organico di decine di migliaia di abitanti che nei fiumi scaricano. Lungo il fiume scaricano pure i liquami di alcune vecchie discariche comunali, chiuse da tempo e sottoposte a controllo ma pur sempre lì, con il loro portato venefico. Tra tutte la Canalotto di Nicosia. Immaginate ora le acque, gonfie di nutrienti organici, schiumanti di liquami, che si gettano nell’ampia mole del lago, lì le alghe portate da altri laghi inquinati dagli uccelli migratori trovano un megaristorante con splendidi menu e l’inverno è la loro stagione, nelle acque fredde le colonie si moltiplicano sino a colorare letteralmente le acque di un rosso porporino, sino ad uccidere i pesci, a ridurre quella idilliaca oasi in un orrido paesaggio di degrado.
In questi giorni ho visto puntare il dito verso gli allevatori, rei di incrementare con le deiezioni il portato organico delle acque, o verso gli agricoltori, che avrebbero usato a mano bassa le sintetiche magie della ruralità moderna. Ebbene, non scherziamo, se responsabilità si può addossare al mondo rurale è quella di aver sopportato sin troppo lo strapotere di chi della ruralità ben poco sapeva ed ha consentito questo sfacelo. La responsabilità è di lunghissime teorie di amministrazioni disattente agli obblighi di depurazione delle acque, di “dimenticanze” troppo spesso utili, di una assoluta distanza della società civile dall’ambiente naturale. Il Pozzillo venne alla ribalta per la grandiosa bufala del parco tematico seguita dall’altrettanto sonora bufala del tonfo del mitico progetto, poi il silenzio. Quel lago è il cuore pulsante di un sistema che interessa mezza isola, che giunge giù sino ai verghiani paesaggi del lentinese, non può esser sottaciuto e trattato a mò di pitale da mezza provincia. L’intervento delle associazioni è stato provvidenziale, non tanto per il rischio a mare, che come ha giustamente ribadito il Direttore dell’ARPA Enna, dr. Daniele Parlascino, è inesistente, quanto per la probabilità che le acque portatrici delle alghe e con esse delle tossine algali così pericolose per uomo ed animali, potessero finire altrove, più a valle. Ma l’intervento ha anche dimostrato, a chi non lo avesse capito, che il territorio va visto e vissuto al di là di ciechi compartimenti. Paternò è lì, interconnessa con Regalbuto, lo è come lo sono i tanti centri che al Simeto fanno corona. Cosa fare allora? Intanto attendere che le colonie diminuiscano con l’arrivo di più alte temperature, convincere chi gestisce idraulicamente le acque (l’ENEL) che prima di ogni mossa deve confrontarsi con chi le stesse acque controlla (ed in questo voglio fare un plauso all’ARPA Enna che, nonostante le povere disponibilità, continua ad assicurare a tutti noi un controllo efficiente) e con chi le usa.
Le acque, lo dobbiamo ricordare sempre, non sono di ENEL o di chiunque altro, le acque possono essere usate da ENEL per scopi condivisi e non impattanti ma sono un bene comune.
Da oggi, però, va costruito un percorso che punti diritto alla creazione di questi sistemi di depurazione che consentano di garantire la salubrità del reticolo idrografico siciliano. Depuratori piccoli e diffusi, magari attivi mediante la fitodepurazione, fiumi controllati e salvaguardati, scarichi monitorati e, laddove si debba, sanzioni anche durissime per ogni possibile trasgressore.
Ma forse sto sognando “la rivoluzione”!
Giuseppe Maria Amato
Consulente Ambientale
Coordinatore scientifico Rocca di Cerere Geopark
Presidente CEA Sicilia