La scorciatoia giudiziaria ed i granchi politici
Enna-Cronaca - 26/01/2025
Nel giro di un anno, alcuni esponenti della politica siciliana hanno preso due granchi nel tentativo di trovare la scorciatoia giudiziaria per contrapporsi alle scelte politiche fatte da chi è stato chiamato democraticamente a governare il rispettivo livello istituzionale.
Il primo granchio è stato preso dagli onorevoli Onorevoli Gianina Ciancio, Maria Laura Paxia e Simona Suriano che hanno tentato di opporsi alla delibera del Consiglio Comunale di Catania, con la quale è stato approvato il progetto di fattibilità tecnico- economica dei nuovi Uffici Giudiziari della Città di Catania – ex edificio Poste Ferrovie.
Il Tar di Catania, con sentenza del giugno 2023, ha respinto la tesi secondo cui i ricorrenti “agiscono tanto quali residenti a Catania e potenziali utenti dell’opera, quanto quali rappresentanti dei cittadini eletti presso l’Assemblea Regionale Siciliana e presso la Camera dei Deputati” affermando, invero, che è del tutto irrilevante dal punto di vista giuridico. La posseduta qualità di onorevoli consente loro soltanto di difendere politicamente gli interessi dei cittadini catanesi nell’ambito delle Assemblee elettive di
rispettiva appartenenza, ma non conferisce agli stessi alcuna particolare “patente” per assumere iniziative a (soltanto asserito) beneficio di quelli.
Il secondo granchio è stato preso recentemente in occasione del consumato tentativo dell’Unione Regionale Sicilia del partito democratico di fare annullare dal Giudice amministrativo il decreto dell’Assessore regionale del territorio e dell’ambiente recante il parere favorevole sul procedimento di valutazione ambientale strategica del Piano regionale di gestione dei rifiuti della Regione Siciliana. Il ricorso straordinario, esaminato nella sede cautelare, è stato dichiarato inammissibile nei giorni scorsi dal
Consiglio di giustizia amministrativa per difetto di legittimazione attiva, non avendo il partito medesimo dimostrato di possedere i requisiti cui la costante giurisprudenza amministrativa subordina la possibilità di agire in giudizio in capo alle associazioni portatrici di interessi collettivi.
A ben vedere, i ricorrenti hanno censurato illegittimità dell’attività amministrativa (comunale e regionale) che non comportano ex se alcuna compressione delle prerogative del rispettivo munus, dovendosi d’altronde escludere che ogni violazione di forma o di sostanza nell’adozione di una deliberazione (che di per sé può produrre un atto illegittimo impugnabile dai soli soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dal medesimo), si traduca in un’automatica lesione dello ius ad officium, giungendosi, altrimenti, al paradosso che qualunque atto amministrativo dovrebbe ritenersi impugnabile dai rappresentanti politici dissenzienti.
Ancora oggi, evidentemente, sfugge a chi esercita funzioni pubbliche su mandato elettivo la regola fondamentale secondo cui tali funzioni devono essere esercitate nelle sedi proprie e con gli strumenti che l’ordinamento prevede a tutela delle minoranze politiche, al fine di scongiurare qualunque opera non solo di aperto sabotaggio ma anche di subdola, lenta e surrettizia erosione delle Istituzioni democratiche, in quanto queste appartengono a tutti i cittadini e certamente non ai loro rappresentanti politici.