Anche il 2024 sta per concludersi e i bilanci da fare non riguardano solo le persone ma anche i territori, luoghi vitali la cui longevità dipende dall’intreccio di fattori esterni ed interni. Quelli esterni sono noti e
strettamente correlati alle dinamiche geopolitiche ed economiche, quelli interni sono invece il risultato di politiche locali promosse dalle comunità e dalle rispettive classi dirigenti.
E’ questa la premessa su cui innervare qualsiasi ragionamento di prospettiva per il futuro dei nostri territori, preda delle congiunture (ieri la pandemìa, oggi la crisi idrica, domani chissà…) e del vento dei citati fattori esterni che soffia sempre più forte. Ogni territorio delle nostre aree interne e centrali della Sicilia sta facendo la propria battaglia di resilienza, consumando il rituale della “coscienza a posto” con le rispettive comunità, sperando che il vento possa cambiare improvvisamente direzione. Piazze rifatte, palazzi restaurati e rotonde stradali attivate sono sotto gli occhi di tutti e le buone iniziative, tra “rucculi e catunie”, non mancano certamente.
E tuttavia, le statistiche e i freddi numeri ci dicono impietosamente che la “buona volontà” non è bastevole, che la politica dei borghi secondo cui “il piccolo è bello” non sta portando i risultati sperati, che le politiche di ricettività turistica, che pure sembrano crescere in alcuni Comuni, non possono compensare l’assenza di attività produttive e di imprese del manifatturiero.
In tale contesto, la strategica presenza del polo universitario ennese (decisamente in crescita con l’istituita facoltà di medicina) non può colmare un vuoto occupazionale cronico e strutturale. I giovani, che prima
lasciavano le rispettive famiglie al conseguimento del diploma, adesso continuano a farlo al conseguimento della laurea. Si tratta, quindi, di traslare di qualche anno un esodo che sembra comunque destinato se persisterà l’assenza di una visione strategica di area vasta e di vere e proprie “politiche sovversive”. Prova ne è la Strategia Nazionale per le Aree Interne, tutta impostata sul potenziamento di servizi, infrastrutture e know-how dei singoli Comuni aderenti e non anche sulla promozione di politiche
di area vasta.
Le classi politiche locali concepiscono ancora i rispettivi Comuni come le babilonesi “città-stato”, sempre più avvitate in ragionamenti campanilistici e in una cieca corsa al finanziamento più che all’idea di sviluppo complessivo, non hanno ancora la consapevolezza che nelle economie dei territori nessuno si salva da solo.