Grande affluenza di pubblico al CineTeatro Andrea Camilleri di Troina, in questi giorni, per vedere
il film “Berlinguer. La grande ambizione” di Andrea Segre. Alla prima proiezione di sabato, quella delle 18,
gli spettatori erano 90. A questi se ne sono altri 90 negli spettacoli serali di sabato e in quelli domenicali.
Gli spettacoli di oggi sono gli ultimi. Il Pd locale ha offerto ai giovani 50 biglietti gratis. Non accade spesso che le sale cinematografiche siano affollate.
Dopo la prima proiezione di sabato, c’è stato anche il dibattito sul film nel quale è emersa la risposta alla domanda: qual era la grande ambizione di Enrico Berlinguer che dà il titolo al film di Segre? E’ quella che deve nutrire il capo di un partito che aspira, con ogni sua forza, all’esercizio del potere statale. Berlinguer lottava per portare alla guida del paese, per cambiarlo in meglio, le classi sociali popolari di cui il suo partito era espressione e rappresentante. Erano la classe operaia delle grandi fabbriche, i braccianti e i contadini poveri delle campagne che erano stati esclusi dal governo del paese fin dalla nascita, nel 1861, dello Stato Italiano. Questa è la grande ambizione di Berlinguer.
Da non confondere con la piccola ambizione, che ha condotto spesso all’opportunismo, al tradimento dei principi e delle formazioni sociali che avevano dato all’ambizioso le condizioni per passare a servizio più lucrativo e di più pronto rendimento. Il film non racconta l’intera vita di Berlinguer. E’ il racconto di cinque anni di storia italiana, come l’ha vissuti Berlinguer. Gli anni sono quelli che vanno dal 1973, quando Berlinguer subì a Sofia, in Bulgaria, un attentato camuffato da incidente automobilistico, al 1978, quando il presidente della DC, Aldo Moro, fu rapito dalla Brigate Rosse. Sono gli anni in cui Berlinguer e il Pci tentarono di andare al governo, aprendo una stagione di dialogo con Aldo Moro e la DC ed arrivando ad passo dal cambiare la storia.
In quegli anni la società italiana visse momenti contrastanti. Sono ricordati come gli anni delle leggi del
divorzio, liberalizzazione dell’aborto, nuovo diritto di famiglia e istituzione del servizio sanitario nazionale,
che segnarono una balzo in avanti della società italiana. Ma furono anche gli anni di piombo, delle stragi
fasciste di Piazza della Loggia a Brescia, dell’Italicus, dei violenti scontri di piazza, del rapimento e
dell’assassinio del presidente della DC, Aldo Moro, da parte delle Brigate Rosse.
C’è un nesso strettissimo tra il fallito attentato a Berlinguer messo in atto dai servizi segreti bulgari, con il
preciso intento di farlo fuori, e l’uccisione di Moro da parte delle Brigate Rosse. Questi due grandi leader, di cui c’è molta nostalgia, avevano un’ampia e chiara visione del paese, che teneva conto delle esigenze di
allargare la base democratica dello Stato Italiano e di cambiare la società italiana nel profondo ai piccoli
passi del realismo politico. Entrambi pensavano a creare le condizioni per un possibile ricambio alla guida
del paese, bloccato dal 1945, con la partecipazione al governo del PCI, che si era molto distanziato
dall’Unione Sovietica e dai partiti comunisti dei paesi dell’Europa dell’Est.
In quegli anni, il mondo era diviso in due blocchi contrapposti: quello occidentale a guida USA e l’altro
orientale dominato dall’URSS. Erano gli anni della cosiddetta “guerra fredda”. Entrambe le due
superpotenze mal tolleravano cambiamenti all’interno della propria area di influenza. C’erano già stati due eventi dove si era manifestata con chiarezza una sorta convergenza di interessi tra USA e URSS: nel 1968, l’occupazione della Cecoslovacchia da parte degli eserciti del Patto di Varsavia per mettere fine ad
esperimenti di democrazia e, nel 1973 in Cile, il colpo di stato del generale Pinochet, con l’aiuto dei servizi
segreti USA, che rovesciò il governo socialista del presidente Salvador Allende, morto eroicamente
combattendo nel palazzo presidenziale della Moneda. L’Italia apparteneva al blocco occidentale. Berlinguer sapeva dei rischi che correva, perseguendo la politica di avvicinamento al potere e dimostrando in concreto che il comunismo al qual pensava non aveva nulla a che vedere con i partiti comunisti del blocco sovietico.
Moro era altrettanto consapevole dei rischi ai quali andava incontro. Il Segretario di Stato degli USA di allora, Henry Kissinger, minacciò apertamente Aldo Moro dicendogli che, con sua politica di apertura al Pci, correva un rischio molto serio. Berlinguer e Moro con coraggio ci provarono, comunque, perché erano dei politici che avevano una grande ambizione. Grande ambizione, che ogni grande capo politico deve avere, come annotava Antonio Gramsci nei suoi quaderni del carcere.