Il dibattito intorno all’utilità/necessità dell’ente Provincia ha subito un’improvvisa accelerazione negli ultimi giorni. Due Regioni a statuto speciale hanno deciso di stabilizzare nel proprio ordinamento tali enti reintroducendo l’elezione diretta degli organi di governo. Il Friuli Venezia-Giulia, decisamente
con le idee più chiare, ha deciso di modificare il proprio statuto anche per superare l’angusta legge statale Delrio. La Regione siciliana, la cui classe politica non brilla per competenza da qualche lustro, ha invece deciso di ritentare la strada dell’elezione diretta a statuto invariato.
A questo punto c’è chi è sta sondando l’opinione pubblica sull’utilità di tale ente nell’ordinamento delle autonomie locali. Se la domanda è legittima, la risposta non può però essere liquidata con un “sì” o con un “no” per diverse ragioni che risentono di scelte territoriali e di scelte istituzionali.
Osservando i territori appare evidente che l’ente di area vasta diventa strategico per le aree interne ovvero per le aree costiere di piccola dimensione che non hanno potuto usufruire di politiche di area vasta, le uniche che possono essere promosse sulla base di ragionamenti e progetti di ampio respiro. Al contrario, l’ente di area vasta non si giustifica per territori dotati di un centro metropolitano, tendenzialmente indirizzato a far confluire al proprio interno tutte le politiche di sviluppo sociale ed economico.
Sotto il profilo istituzionale, è compito del legislatore stabilire poi il modello istituzionale più adeguato per promuovere e governare le politiche di area vasta. C’è la vecchia Provincia, ente territoriale di governo dotato di autonomia politica e di copertura costituzionale, scelta dal Friuli Venezia Giulia e dalla
Sardegna e c’è il Libero Consorzio comunale, ente associativo e strumentale dei Comuni siciliani sprovvisto di autonomia politica. La scelta tra i due modelli non è frutto di un sorteggio, ma di una riflessione che tenga conto delle funzioni amministrative che tale ente dovrà esercitare e dei diversi servizi pubblici locali che dovranno essere assicurati alla collettività di area vasta.
In tale contesto, in cui abbiamo assistito ad un defaticante “tiro e molla”, la citata riflessione dovrà necessariamente tenere conto di nuovi enti di area vasta che si sono affacciati spontaneamente e dal basso sul panorama delle autonomie locali in questi anni su iniziativa dei Comuni appartenenti alle aree interne. Trattasi delle Unioni di Comuni, che abbiamo già definito di 2° generazione perchè nate non per l’esercizio associato di funzioni comunali ma proprio per la promozione di politiche di area vasta e per tale finalità risultano destinatarie di cospicui e mirati finanziamenti. Questi enti hanno infatti finito per colmare il vuoto lasciato da Liberi Consorzi comunali istituiti solo sulla carta.
