Mafia a Pietraperzia, ecco i nomi ed i ruoli degli arrestati

Sono 13 le persone che sono state tratte in arresto al termine dell’operazione Lua Mater su mafia e detenzione di armi nella disponibilità dei gruppi criminali di Pietraperzia e Regalbuto.

I nomi sul gruppo di Pietraperzia

In merito al gruppo riconducibile a Pietraperzia, ecco i nomi delle persone destinatarie della misura cautelare: Antonino Domenico Abbate, 39 anni, di Barrafranca; Filippo Bonfirraro, 34 anni, di Pietraperzia; Liborio Bonfirraro, 64 anni di Pietraperzia; Giovanni Di Noto, 52 anni, di Pietraperzia; Giovanna Falzone, 60 anni, di Pietraperzia; Filippo Imprescia, 48 anni, di Pietraperzia; Filippo Marotta, 33 anni, di Pietraperzia.

Il nucleo familiare a Pietraperzia

Secondo quanto emerso nell’inchiesta dei magistrati della Dda di Caltanissetta, la detenzione di armi sarebbe stata gestita da Liborio Bonfirraro e dal figlio Filippo Bonfirraro ma un ruolo in questa storia lo avrebbe avuto anche la moglie del 64enne, Giovanna Falzone, come emerge in alcune intercettazioni captate dalla polizia di Enna, che ha eseguito le misure cautelari emesse dal Gip del Tribunale di Caltanissetta.

I guai dei vertici mafiosi di Barrafranca e Pietraperzia

Un ruolo importante lo avrebbe avuto anche Antonino Domenico Abbate che, nella tesi degli inquirenti, sarebbe stato in alto nella piramide dell’organizzazione criminale, insieme ai Bonfirraro, soprattutto dopo le operazioni antimafia e le condanne subite dai vertici delle famiglie di Pietraperzia, con Vincenzo e Giovanni Monachino, e di Barrafranca, con Raffaele Bevilacqua, deceduto, e Alessandro Salvaggio, recentemente condannato in Appello a 20 anni di reclusione.

Gli altri ruoli

Una prima perquisizione compiuta dalla polizia, in cerca dell’arsenale del gruppo, non fu molto fruttifera, portò solo al rinvenimento di cartucce calibro 12 e alcune parti di fucile ma questo avrebbe allarmato gli indagati che avrebbero deciso di spostare il loro tesoro da un’altra parte. E così, stando alle indagini degli inquirenti ad interessarsene sarebbero stati i due Bonfirraro, padre e figlio che si sarebbero avvalsi della collaborazione di Filippo Imprescia: grazie ad un escavatore avrebbero dissotterrato le armi, contenute in dei sacchi, per spostarle altrove. Pure Di Noto, nella tesi degli inquirenti, avrebbe avuto una parte, aiutando gli altri indagati nello spostare le armi.

Il meccanico

Nell’inchiesta è rimasto coinvolto anche Filippo Marotta che, da quanto svelato dagli inquirenti, sarebbe il meccanico di fiducia della famiglia Bonfirraro. In particolare, avrebbe ispezionato una macchina, una Citroen, per scovare delle microspie istallate dalle forze dell’ordine.