Sull’onda dell’anti politica, agitata dalle note vicende giudiziarie che hanno interessato la giunta del Governatore Emiliano prima e il Governatore Toti dopo, le prossime elezioni per il rinnovo dei membri del Parlamento Europeo ci stanno consegnando una nuova categoria invalidante del diritto di elettorato passivo previsto dall’art. 51 della Costituzione. Alle più note categorie della “incompatibilità”, “ineleggibilità” e “incandidabilità”, la Commissione Antimafia sembra avere elaborato la categoria della “impresentabilità”.
I nominativi diffusi dalla commissione Antimafia, che non hanno superato il filtro del Codice di autoregolamentazione, sono Angelo Antonio D’Agostino (candidato Fi-Noi moderati-Ppe nella circoscrizione Italia Meridionale), Marco Falcone (candidato Fi-Noi Moderati-Ppe per la circoscrizione Italia insulare), Alberico Gambino (candidato Fdi nella circoscrizione Italia Meridionale), Filomena Greco (candidata per Stati Uniti d’Europa nella circoscrizione Italia meridionale), Luigi Grillo (candidato per Fi-Noi moderati-Pp nella circoscrizione Italia Nord occidentale), Antonio Mazzeo (candidato Pd nella
circoscrizione Italia centrale), Giuseppe Milazzo (candidato FdI nella circoscrizione Italia insulare).
Diventa impresentabile l’aspirante candidato alla carica elettiva che, sottoposto ad uno screening dalla Commissione Nazionale Antimafia, pur possedendo i requisiti soggettivi richiesti dalla legge per proporre la propria candidatura, difetta di ulteriori e più stringenti requisiti soggettivi previsti dal citato Codice Etico. Trattasi di requisiti che interessano anche la sfera morale e sociale dell’aspirante candidato e che vengono valutati con il metro della mera “opportunità”.
Siamo quindi in presenza non di una “nuova incapacità giuridica speciale” voluta dal legislatore, ma di una forma domestica d’incapacità politica la cui disponibilità rientra nelle prerogative e nelle scelte dei rispettivi partiti politici. In pratica, il partito politico si assume la responsabilità di candidare, ovvero di non candidare, un soggetto alla carica elettiva per motivazioni non necessariamente coerenti con ciò che è espressamente previsto dalla legge.
Corollario di queste argomentazioni è che l’equilibrio tra condivisibili istanze di “moralizzazione” nella selezione della classe politica ed insuperabili limiti costituzionali, non
può che trovare sede nella (ancora mancata) attuazione legislativa dell’art. 49 della Costituzione, e questo, anche per scongiurare che un dirigente di partito, contaminato dalla sindrome dell’onnipotenza, possa sostituirsi alla naturale sede legislativa per determinare egli stesso, con interpretazioni estemporanee ed arbitrarie il “metodo democratico” della vita interna del partito politico, così selezionando le candidature a proprio piacimento.
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