Il paradosso è servito: da un lato ci sono le manifestazioni in tutta Italia, tra cui il presidio al Dittaino, di agricoltori ed allevatori che chiedono al Governo politiche di sostegno alle produzioni locali, dall’altro si scopre che sono in aumento le importazioni di grano dalla Russia.
La notizia, riportata dal Corriere della Sera, suona come una mazzata per le aziende agricole e se calate sul territorio ennese, uno schiaffo ben assestato a tutta la produzione di frumento, insieme alla filiera naturalmente, che ha nel Dittaino il suo cuore pulsante.
Dalle informazioni fornite dal quotidiano milanese, è il grano duro il prodotto che viene importato dalla Russia che poi viene trasformato in pasta per finire sulle tavole delle famiglie. Il flusso di questa tipologia di prodotto è decuplicato, pari al 1,164% nell’ultimo anno, superando altri tradizionali partner internazionali dell’Italia come il Canada.
“Peraltro l’Italia resta l’unico Paese nell’Unione europea a registrare un aumento del genere, mentre quel tipo di prodotto è del tutto assente in altre economie consumatrici di grano duro quali Spagna, Belgio o Grecia” scrive Federico Fubini, uno dei massimi esperti di giornalismo economico.
Peraltro, il grano non è soggetto alle sanzioni dell’Unione europea che, dal 5 dicembre del 2023, ha bloccato tutte le importazioni di petrolio proveniente dalla Russia. Un embargo che ha avuto effetti in Sicilia, infatti la Lukoil, proprietaria a Priolo, nel Siracusano, di due raffinerie di greggio, è stata praticamente obbligata a vendere, cedendo gli stabilimenti ad un fondo cipriota.
Il Dittaino è uno dei cuori pulsanti della produzione di grano. Andando a scorrere le informazioni fornite dalla Cooperativa agricola Valle del Dittaino, emerge che, in quest’area, ci sono “circa 4.000 ettari di superficie agricola, di cui la metà coltivata a frumento duro e tenero, 8.000 tonnellate di stoccaggio di cereali e ben 8.000.000 kg di pane e prodotti da forno realizzati ogni anno su 4 linee automatiche”
Russia a parte, c’è da fare i conti con la siccità, infatti, nelle ore scorse, la Regione siciliana ha proclamato lo stato di crisi. Due anni fa, in una intervista rilasciata a BlogSicilia, nella trasmissione Casa Minutella, Salvatore Puglisi, presidente del Consorzio Crisma, aveva paventato un crollo di produzione del grano nell’isola pari al 30%. “In Sicilia vengono coltivati circa 300.000 ettari a grano – spiegava Puglisi – e la produzione media annua si aggira attorno agli otto, nove milioni di quintali”.
Secondo Puglisi, la Sicilia, al netto di evento catastrofici, manterrebbe una certa autosufficienza, non, però, l’Italia. ” Il nostro Paese, purtroppo, produce solo il 50% del fabbisogno di grano duro. Il resto va comprato all’estero. E non sempre la qualità e la salubrità del prodotto viene garantita” . Ma se il prezzo dalla Russia è molto competitivo e l’importazione è decuplicata qualche rischio per la Sicilia ci sarebbe, eccome.