Gli inquirenti sono certi che Guglielmo Ruisi abbia pianificato la sua latitanza e per farlo si sarebbe servito della sua famiglia. digiplayer id=”74413″ video_promo=”0″]
Ne sono certi i magistrati della Procura di Enna, la polizia ed i carabinieri che hanno catturato in un residence, nel cuore dell’Oasi del Simeto, a Catania, l’imprenditore edile di Valguarnera, accusato dell’omicidio di Salvatore Scammacca, 47 anni, freddato con più colpi di pistola la mattina del 10 ottobre, e della morte di Nunzia Arena, la pensionata travolta accidentalmente dalla macchina del 47enne che, dopo essere stato riempito di piombo, ha perso il controllo del mezzo.
Il Procuratore facente funzioni di Enna, Stefania Leonte, ha spiegato, nel corso della conferenza stampa, al palazzo di giustizia di Enna, le modalità con cui sarebbe stata pianificata la latitanza.
“Ruisi ha lasciato il telefono cellulare a casa, un elemento -argomenta il pm Leonte – che ci fa comprendere la volontà di non essere intercettato. Verosimilmente, ha scelto anche il percorso per andarsene da Valguarnera, il cui territorio è disseminato da strade di campagne e da viuzze che lo collegano con altre aree. Insomma, sono dei percorsi difficilmente controllabili”.
“Che la fuga sia stata meditata lo dimostra anche il luogo scelto dall’indagato per nascondersi. Si tratta di un residence, incastonato in un’area che è stata usata dalle organizzazioni criminali per proteggere dei pericolosi latitanti” aggiunge il magistrato.
Non c’è stata alcuna fonte confidenziale, né il contributo della famiglia, che non è stata per nulla collaborativa. Gli inquirenti hanno anche spiegato che per comunicare, i parenti di Ruisi, in particolare la moglie ed il figlio, avrebbe usato non gli smartphone, che sono più tracciabili, ma telefonini di vecchia generazione, con sim intestati a stranieri.