A sentire quelli che esaltano le proprietà salutistiche della la dieta mediterranea con i suoi
ingredienti fondamentali olio, grano e vino, viene da pensare che di quesiti alimenti e dei derivati
dal grano, pasta e pane, si cibassero i braccianti e i contadini poveri delle aree interne, e non solo
delle aree interne del meridione d’Italia, fino alla prima metà del Novecento.
Niente di più sbagliato, se penso ad un episodio, accadutogli un secolo fa quando era un bambino di 6 anni, che mi raccontò Nino Miano molto tempo fa prima che morisse. Miano era un fervente militante
comunista che, intervenendo nelle affollate assemblee di iscritti e simpatizzanti che si svolgevano
spesso nell’ampio salone della sezione Giuseppe Di Vittorio di via San Pantheon, a Troina, amava
ricordare con orgoglio che lui era nato nel 1921, lo stesso anno in cui era stato fondato il Partito
comunista Italia. Come tutti i bambini delle famiglie contadine che lavoravano la terra per conto del
padrone, anche Nino stava in campagna per dare una mano ai genitori nel lavoro sui campi.
Lavorando dalla mattina presto da quando sorgeva il sole fino al tramonto, da “suli a sul”, i genitori
di Nino avevano raccolto della cicoria per mangiarla a cena. Finita la giornata di lavoro, la mamma
puliva la cicoria e la cuoceva.
Appena tutto era pronto per cenare, il papà comandava al piccolo Nino di andare dal “signorino” (veniva chiamato così il padrone per una singolare forma di rispetto) con un piccolo bicchiere per chiedergli di riempirlo d’un po’ d’olio con il quale condire la cicoria. Il “signorino” era anche lui in campagna, ma stava in una casa più grande e più comoda con una grande magazzino dove c’era un “lannunni” (una grande fusto di latta) colmo d’olio. Il “signorino” affondava il mestolo nell’olio e lo tirava su dal fustone per versarlo nel piccolo bicchiere che il piccolo Nino teneva in mano , ma esitava a versarlo. Tenne sospeso in aria sopra il fusto per alcuni istanti il mestolo con il poco olio che conteneva e subito dopo, con un giro di polso, riversa l’olio nel fusto dando questa spiegazione: “Dicci a to matri e a to patri che nu vinnidugnu uogghiu picchì se no vi anniccati” (Dì a tua madre e a tuo padre che non ve ne do olio, altrimenti ci prendete gusto).
Il piccolo Nino, con il bicchiere vuoto in mano e con il messaggio del “signorino”, tornò dai
suoi genitori con i quali mangiò la cicoria senza olio. Per loro e per gli altri contadini poveri e i
braccianti siciliani e altri ceti popolari di allora la dieta mediterranea era un ideale e non un dato di
realtà. Ad avvertirci che le cose andavano proprio così, come nell’episodio raccontatomi da Nino
accaduto un secolo fa quando ancora era un bambino di 6 anni, sono l’antropologo Vito Teti e lo
storico dell’alimentazione Alberto Grandi.
Per la verità, anche il fisiologo americano Ancel Keys, che parlò degli gli aspetti positivi per la salute di questa dieta mediterranea, mise le mani avanti precisando che la dieta mediterranea è una dieta ideale che non rispecchia la realtà di quello che mangiavano i popoli mediterranei. Keys, con il gruppo di ricercatori che guidava, nei primi anni ‘60 del secolo scorso aveva riscontrato una scarsa diffusione di malattie cardiovascolari e di obesità nella popolazione di alcuni comuni della Campania e della Calabria. Ben poca cosa rispetto alla diffusione di queste patologie nella popolazione statunitense.
Dove stava la causa della differente diffusione di queste patologie in popolazioni che abitavano in continenti così diversi e lontani? Stava nel fatto che gli americani mangiavano troppo e male mentre gli abitanti del Meridione d’Italia, e non solo quelli dei ceti popolari, mangiavano poco e spesso soffrivano la fame. E’ di quest’avviso è Alberto Grandi: “Nell’Italia meridionale non esistevano le malattie cardiovascolari diffuse nella società statunitense perché, molto banalmente, la nostra gente mangiava poco, era denutrita”.
Provate a guardare vecchie foto degli anni ‘30, ’40 e ’50, non vedrete persone in sovrappeso ma uomini e
donne segaligno, magri e asciutti senza un filo di grasso, con i vestiti che gli “piangono addosso”, come si dice in vernacolo troinese. “Per gli abitanti del sud Italia, ancora all’inizio degli anni Cinquanta, l’olio d’oliva era una rarità, il condimento era il grasso di maiale. Del grano non parliamone, si usava concedere il pane bianco a chi era sul letto di morte”, ricorda Vito Teti. I ceti popolari aspiravano a questo tipo di alimentazione da cui erano esclusi. Aggiunge Vito Teti che “soltanto negli anni Sessanta, dopo il boom economico, cominciò questo accesso al grano, all’olio e al vino. Poi le cose andarono migliorando sempre più”.
Silvano Privitera
Foto tratta da restorica.it