Troppi “dottori” e pochi “DOTTORI”
di Massimo Greco
A coloro che hanno conseguito, in base ai rispettivi ordinamenti didattici la laurea, la laurea magistrale o specialistica e il dottorato di ricerca competono, rispettivamente, le qualifiche accademiche di dottore, dottore magistrale e dottore di ricerca. In questa cornice normativa si collocano le scelte e le aspettative di chi intraprende un corso più o meno lungo di studi, il più delle volte finalizzato ad aprire le porte del mondo del lavoro pubblico e privato. All’aumentare del numero degli anni di studio aumenta lo spessore del titolo accademico ma questa distinzione, ancorchè squisitamente formale, non sempre viene fatta visto che il titolo di “dottore” non si nega più a nessuno. E noi non abbiamo nulla da obiettare visto che apparteniamo a coloro che ritengono, comunque, fondamentale l’arricchimento in conoscenza e formazione per essere sempre più competitivi. Qualche perplessità l’avvertiamo il momento in cui siamo costretti a discernere nel titolo di “dottore” il momento formale da quello sostanziale. Qui emerge una differenza, che evidentemente non trova riscontro normativo nè istituzionale, tra il “dottore” in corsivo e il “DOTTORE” in stampatello. Il primo è colui che per diventare tale ha frequentato e superato con profitto il ciclo di studi universitari. Il secondo è colui che ritiene il titolo acquisito solo una fatto formale e che dimostra nei fatti e quotidianamente di approfondire i temi riferiti al proprio ambito di studi. Per il primo, il riconoscimento del titolo di “dottore” è per lo più un traguardo strumentale all’esercizio di una professione, alla partecipazione ad un concorso pubblico, per essere assunti in un’azienda privata o, più semplicemente, per essere chiamati “dottore” e, magari, all’occorrenza poter esclamare “lei non sa chi sono io!!”. Il secondo è invece colui che, non ponendo limiti alla propria curiosità, mette a disposizione della comunità scientifica di riferimento domande e risposte sui medesimi temi per i quali gli è stato riconosciuto il titolo accademico, dimostrando di essere “DOTTORE” nei fatti. Il primo, nella maggior parte dei casi, non ricorda neanche su quali libri ha studiato, il secondo, invece, riesce a tracciare e monitorare l’andamento evolutivo di ciò che ha studiato sui libri e, in alcuni casi, anche ad implementarne l’approfondimento con propri contributi. Per carità, ognuno è libero di fare l’uso che ritiene del titolo accademico acquisito ma è giusto che si sappia che ci sono “dottori” e “DOTTORI”.