Le indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Enna e coordinate dal Nucleo Carabinieri Cites di Catania e dal SOARDA (Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno di Animali) di Roma, si sono concretizzate nelle prime ore del mattino del 26 scorso e per tutta la giornata, in decine di perquisizioni con la partecipazione della Sezione di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri di Enna, del Centro Anticrimine Natura di Palermo, del Nucleo CC Cites di Salermo e del Gruppo Carabinieri Forestali di Avellino, con un impiego di oltre 30 militari.
Il personale tecnico del progetto Life ConRaSi (Conservazione Rapaci Siciliani), da anni impegnato nella conservazione di rapaci a rischio in Sicilia, ed i volontari del gruppo tutela rapaci hanno fornito supporto tecnico alle operazioni svolte.
Si è proceduto in tal modo a dare un duro colpo all’ormai dilagante fenomeno del prelievo in natura di esemplari particolarmente protetti di rapaci diurni e notturni che, proprio a causa di tali condotte criminali, rischiano l’estinzione non solo dal nostro territorio ma anche, essendo per lo più specie migratrici, dall’interno pianeta; in particolare le Aquile del Bonelli, gli ormai rarissimi Falchi Lanari e i Falchi Pellegrini, che spregiudicati collezionisti legati al mondo della falconeria prelevano dai nidi. Esemplari che gli appassionati sono disposti a pagare cifre nell’ordine di decine di migliaia di euro, destinati anche al mercato estero.
Il prelievo dai nidi dei pulli, così vengono chiamati i pulcini dei rapaci, è il primo passo. Una rete di bracconieri, fra committenti ed esecutori materiali, disposti a tutto, segue gli spostamenti degli esemplari adulti fino ad individuare i siti di nidificazione.
Poi con binocoli e cannocchiali seguono la schiusa delle uova e, dopo qualche giorno, armati di funi ed imbracature, prelevano i piccoli cominciando ad allevarli in cattività.
A quel punto, prima di poterli piazzare sul mercato devono in qualche modo “ripulirli”, dissimulandone la natura selvatica, dotandoli di anelli identificativi contraffatti e falsificando certificati Cites, normalmente necessari per rendere lecita la detenzione e il commercio di tali specie, altrimenti rigorosamente vietati.
La Cites, infatti, ovvero la Convenzione Internazionale sul commercio delle specie a rischio di estinzione, siglata a Washington del 1973, al fine di preservare dalla estinzione le specie più a rischio, ne impedisce il commercio, salvi i casi di esemplari riprodotti in cattività e tramite una serie di certificati rilasciati dalle Autorità di Gestione.
In Europa gli esemplari a rischio vengono elencati in 4 Allegati al Regolamento Comunitario 338 del 1997, a seconda del grado di protezione.
La maggior parte dei rapaci è inserita nell’Allegato A, ovvero fra le specie più a rischio.
Le indagini dei Carabinieri Forestali hanno portato al deferimento all’Autorità Giudiziaria di 8 soggetti ed al sequestro di numerosi esemplari, fra cui: un falco lanario, 5 falchi pellegrini, 5 gheppi, 3 barbagianni, 1 civetta, 7 cardellini, 3 corvi imperiali, 1 cornacchia, 31 Testudo hermanni (le nostre tartarughe di terra), e poi reti per uccellagione, trappole, imbracature e certificati contraffatti.
A carico dei predetti soggetti sono configurabili gravi ipotesi di reato, che vanno dal furto aggravato (la fauna infatti è patrimonio indisponibile dello Stato), alla ricettazione, al riciclaggio, ai maltrattamenti, al falso ed alla violazione della Legge 150/92, sulle specie Cites (norma che per questi casi prevede la sanzione dell’arresto fino a 2 anni e l’ammenda fino a 150.000 €) e della Legge 157/92 sulla protezione della fauna omeoterma.
I Carabinieri invitato a prendere le distanze da un approccio meramente collezionistico di chi tiene in cattività tali nobilissimi e ormai rarissimi animali che dovrebbero invece essere ammirati nel loro ambiente naturale.