Carlos Luis Malatto, l’ex gerarca di Videla accusato di torture in Argentina è stato residente a Calascibetta

Tre mandati d’arresto spiccati dall’Argentina per quello che secondo la Corte d’Appello di Mendoza è un torturatore che “ha partecipato attivamente a diverse procedure di detenzione ed è uno dei più indicati dalle vittime” del regime di Videla “per la partecipazione a interrogatori sotto tortura”. Eppure Carlos Luis Malatto, gerarca 70enne del regime militare argentino accusato di sequestri e sparizioni, in Italia si comporta “da uomo libero”. Repubblica lo ha individuato in un resort a Portorosa, in provincia di Messina: il quotidiano parla di una “terza età con tutti gli agi“, fatta di “riposo, lettura, mare qualche puntata fuori porta a bordo della sua Mercedes Slk azzurra”.

Un “latitante di lusso, fuggito dieci anni fa dall’Argentina per evitare il carcere“, che è anche andato a chiedere informazioni al vicino comune di Furnari perché vuole sposare una signora argentina. In patria Malatto, che date le origini abruzzesi ha la doppia cittadinanza, è considerato un criminale. Eppure quella sentenza di Mendoza del 16 febbraio 2011 in Italia non è mai arrivata. Così come non è arrivata la nuova richiesta di estradizione presentata da Buenos Aires, visto che l’Argentina non giudica in contumacia. Una era già stata respinta dalla Cassazione a luglio 2014, al contrario di quanto aveva stabilito la Corte d’Appello dell’Aquila. Dal suo arrivo in Italia, Malatto si è mosso senza problemi sul territorio nazional. Nel 2014 viveva a Genova ospitato in una parrocchia. Su Malatto, però, in Italia indaga la procura di Roma: l’associazione 24 marzo di Jorge Ithurburu “è riuscita a ottenere nel 2015 il via libera dall’allora Guardasigilli Andrea Orlando“. È accusato di avere commesso 4 omicidi, tra cui anche quello del “rettore dell’Università di San Juan e quello della modella francese Marie Anne Erize“. Nel frattempo il colonnello si è trasferito “da Genova a Calascibetta“, dove è rimasto fino al 2018 entrando anche in contatto con i politici locali. Alla Suprema Corte non è bastato che il governo di Buenos Aires indicasse l’uomo – in Italia dal 2011 – come “coautore” di torture e di tre omicidi e il fatto che fosse “inserito in una organizzazione che aveva un piano unitario e sistematico finalizzato alle azioni violente”. I giudici avevano infatti spiegato che per l’estradizione volevano prove, non “teoremi” e avevano così accolto il ricorso contro il via libera all’estradizione deciso dalla Corte di Appello dell’Aquila il 4 aprile 2013. Per la Cassazione, i giudici abruzzesi avevano sbagliato a concedere il nulla osta al rimpatrio di Malatto dopo “un controllo meramente formale sulla documentazione presentata” dalle autorità argentine, rifacendosi a una prassi non condivisibile secondo cui in presenza di una Convenzione bilaterale (come quella sull’assistenza giudiziaria tra Italia e Argentina) “si può prescindere dalla verifica dei gravi indizi”. Secondo la corte abruzzese, invece, erano più che sufficienti i documenti con i quali la magistratura argentina chiamava Malatto a “rispondere dei reati quale ‘coautore’, avendo egli agito nell’ambito di un sistema in cui ‘gruppi di lavoro’ formati da ufficiali e sottoufficiali dell’esercito argentino operavano con metodi criminali contro organizzazioni di dissidenti politici assicurando sempre l’anonimato dei materiali esecutori dei delitti e la loro assoluta fungibilità”. Ad avviso della Cassazione, invece, dalle carte emergeva a carico di Malatto “solo una teorizzata ‘responsabilità da posizione’”. “Nelle carte trasmesse dal governo argentino – si leggeva ancora nella sentenza – si fa riferimento all’appartenenza del Malatto ad un ‘gruppo di lavoro’ dedito a torture e violenze ai danni dei detenuti politici desumibile da una sentenza della Corte federale di Appello di Mendoza, sentenza negata dalla difesa di Malatto e di cui è stata chiesta l’acquisizione, ma che non è mai stata prodotta dallo Stato richiedente, sicché la circostanza non risulta minimamente dimostrata”. In pratica, la parola scritta dei magistrati argentini, in ottemperanza alle prescrizioni della Convenzione bilaterale, non aveva valore a fronte di quella dell’avvocato di Malatto. “Il fatto che si sia trattato di un vero e proprio sistema autoritario e criminale di repressione del dissenso ad opera di organismi dello Stato che godevano di coperture e di anonimato – afferma la sentenza 43170 della Cassazione a proposito della dittatura del generale Videla – non può giustificare il superamento dei principi in base ai quali deve concedersi un’estradizione, principi che impongono di accertare che dalla documentazione allegata emergano elementi di accusa che rendano probabile che l’estradando abbia commesso il reato attribuitogli”. Gli ermellini avevano poi concluso affermando che dai dati acquisiti “non è possibile formulare un giudizio di questo tipo, in quanto il teorema accusatorio che permea l’intera documentazione acquisita si basa esclusivamente sulla appartenenza del Malatto al Reggimento n.22“. La Procura della Suprema Corte, rappresentata dal Sostituto procuratore generale Alfredo Viola, invece, aveva sostenuto che c’erano tutti gli elementi per consegnare l’ex tenente ai giudici che in Argentina stanno facendo luce sulla morte di migliaia di desaparecidos. Malatto, nato nel 1949 a Buenos Aires, e’ arrivato in Italia nel 2011. Ha la doppia cittadinanza avendo origini abruzzesi.

spunti presi dal Fatto Quotidiano


Si precisa che allo stato attuale il Colonnello Malatto è un cittadino italiano libero, per il quale non esistono neanche indizi di colpevolezza.

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