Walter Amorelli si è detto lieto di aver visto allievi provenire anche dai paesi vicini, come Piazza Armerina o Leonforte, con tutte le difficoltà del caso che avrebbero potuto rendere più difficile la partecipazione.
Suddiviso in quattro percorsi formativi, il laboratorio, che ha visto coinvolti più di 90 partecipanti, è stato condotto da Aldo Rapè, attore e direttore artistico del Teatro Regina Margherita di Caltanissetta, già presente nella precedente edizione, e Daniele Segalin e Graziana Parisi, in arte “Dandy Danno e Diva G” di Theatre DeGart, e si è tenuto nei locali della Casa di Giufà e della palestra dell’istituto comprensivo “De Amicis”, ad Enna.
Dandy Danno, originario di Vicenza, viene dal mondo dei clown del circo; Diva G., originaria di Giardini Naxos, è creatrice di spettacoli, di costumi, coreografa e regista di spettacoli.
Il loro modo di fare teatro è basato sulla contaminazione artistica: fisicità, mimica, comicità e, la partecipazione a numerosi Festival internazionali li mantiene attenti alle globali forme espressive in costante evoluzione.
Cosa vi aspettavate da questo laboratorio e cosa vi ha restituito?
“Di solito abbiamo a che fare con chi è già dentro a questa realtà, perciò non sapevamo cosa aspettarci da questo percorso sociale e culturale. E abbiamo lavorato su una visione diversa della vita come quella del clown partendo dall’idea dell’arte e del fallimento come punto di partenza.
Abbiamo condotto due laboratori: uno con adulti che andavano dai 18 ai 77 anni circa, dove c’erano anche psicologi, assistenti sociali, artisti, e uno con degli studenti. E tutti, avevano in comune una cosa: andavano di corsa, alla costante ricerca del modo migliore per esprimere quel che valgono.
E Lo stop sopraggiunge qui: rallentare e guardarsi intorno”.
E intorno cosa c’è?
“C’è la semplicità del proprio essere, dei propri desideri e della loro realizzabilità.
C’è l’assenza di distanza, che era una cosa che temevamo. Ci sono confini di altri mondi, quelli di ognuno di noi, che sono superabili se si accetta, con reciprocità, di conoscere e di esplorare.
E poi c’è chi impara a far ridere, diventa così più forte e sicuro di se stesso.
Abbiamo avuto a che fare con persone anche con delle situazioni difficili e abituate a ricoprire il ruolo del duro e, scoprire che dietro ci fosse una incredibile capacità di attenzione, interesse e costanza, è stata una grande sorpresa, ciò che ci ha restituito questo laboratorio.
C’è solo bisogno di sentirsi dire che si è di più di quello che si pensa di essere o che gli altri ti dicono di essere”.
“Il nuovo Super Eroe.
E’ l’ultimo che accetta tutti e accetta se stesso nei suoi limiti che diventano una cosa speciale, come per esempio far ridere.
Siamo così abituati a essere numeri uno nella vita sociale: a scuola, nella famiglia, nello sport che non è concepibile più, poter sbagliare. La corsa a essere dei numeri uno rende molto fragili, soprattutto i ragazzi, spesse volte, sono i risultato della volontà delle persone che hanno attorno e il teatro può aiutarli a tirar fuori quello che sono realmente.
E noi ci siamo concentrati sugli sbagli e sulle fragilità che ne scaturiscono; l’errore è il punto sul quale poter operare per trasformare lo stesso in una possibilità. Quindi, lo sbaglio diviene “possibilità di”.
Ecco che il clown non è il numero uno, è secondo, terzo, quarto o anche ultimo.
Non è quello che fai ma quello che sei a fare la differenza”.
Si può diventare maestri di sé attraverso la “clowneria”?
“E’ la non competizione, caratteristica della figura del clown, a permettere il salto di qualità per andare oltre, che non significa essere i numeri uno ma accettarsi e accettare l’altro.
E allora possiamo tirare fuori il Maestro che è in ognuno di noi, e a questo punto si può essere quello che si vuole e trasformare piccole cose in grandi cose sul palcoscenico”.
Livia D’Alotto