Leonforte: giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne
Leonforte - 25/11/2018
Sabato 24 novembre Leonforte ha celebrato la Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne. Sono 70… no, ne hanno ammazzata un’altra allora sono 71, no c’è stato un altro femminicidio. Non è possibile raccontare neppure i numeri del femminicidio. E’ una costante che permea ogni strato sociale e culturale del Paese da Nord a Sud; è un crimine preceduto da anni di violenze quotidiane, silenzi e indifferenza. In un’azione corale Leonforte ha detto #maipiùselecercata a partire da Silvia Romano sequestrata in Kenya e dalla diciassettenne stuprata, ma con il suo consenso perché indossava un perizoma col pizzo davanti e #maipiùstaizittacretina. Le ragazze del Medi hanno narrato le frasi dell’abuso trovate sui social: “posso almeno finire?” “stai zitta e godi” et similia. Molte le riflessioni suggerite dalle performance dei gruppi Donna Araba/Fenice e Giardino dei gelsi/Nuovo Sipario e Nella Belintende; tante le osservazioni sui cortometraggi proposti da: Lorena D’Angelo, dai ragazzi del Medi sul cyberbullismo e, in ultimo, da Maria Catalano con il cortometraggio “Laerte Mira”. Vivacizzata da un confronto sul senso della responsabilità della stuprata e dello stupratore il racconto della vicenda di Agata di Fabia Mustica.
Un’ovazione è stata tributata alle giovani Nerea e Diletta. La loro testimonianza ha commosso l’auditorium e con voce rotta dall’emozione il sindaco Carmelo Barbera ha promesso l’apertura di uno sportello d’ascolto per le donne bisognose di assistenza psicologica, giuridica e medica. Sportello che serve a raccogliere le troppe voci taciute dalla paura del disinteresse. Nel pomeriggio le artiste Grasso e Assennato hanno donato due loro opere alla comunità certe che l’amministrazione saprà valorizzarle come meritano, la dottoressa Conti ha detto dell’associazione DonneInsieme Sandra Crescimanno e l’Università Popolare ha chiuso con una lezione sul tabù delle mestruazioni. Quell’evento mensile che contrassegna la vita delle donne in età fertile per circa 2.400 giorni e che ancora oggi viene considerato sinonimo di impurità. Basti pensare a tutte le polemiche suscitate dalla scelta di Kiran Gandhi, ricercatrice dell’Università di Harvard, di correre la maratona di Londra del 2015 con le mestruazioni e senza assorbente e quindi con la tuta macchiata di sangue. Basti dire che fino al 1963 le donne non potevano accedere alla magistratura perché “squilibrate” nei giorni del mestruo: “Fisiologicamente tra un uomo e una donna ci sono differenze nella funzione intellettuale, e questo specie in determinati periodi della vita femminile”. Oggi gli assorbenti igienici sono ancora considerati beni di lusso e come tali hanno l’IVA al 22% mentre i rasoi intesi beni di necessità hanno l’IVA al 4%. L’intrinseca natura delle donne, ciò che regola la fertilità e la possibilità di procreare è stata ed è ancora percepita come una menomazione, che fa della femmina un essere buono per sgravare prole, ma non per agire attivamente in società. Molte parole sono state ridimensionate: raptus come cronica violenza lunga anni e anni; attenzione, come morbosità; mestruazioni, parola degnissima e non più cosa indicibile. Indicibile è violenza sulle donne in quanto tali. Riprendiamoci le parole, declinandole al femminile quando è possibile non è un vezzo da femministe ma un obbligo linguistico, e cominceremo forse a progredire.
a cura di Gabriella Grasso