Dopo la proiezione del suo primo docu-film “Gesù è morto per i peccati degli altri”, la Arena ha scandagliato insieme al pubblico presente il percorso di scoperta del quartiere San Berillo, il rapporto con gli abitanti, e la visione degli stessi da “fuori”.
La ricerca procede dunque senza sosta in un fluire costante di interrogativi: qual è la relazione tra lo spazio, il corpo e l’identità?
Attraverso quell’intellettualità metabolizzata dalla “sensorialità” dei luoghi esplorati e ad un cultura mnemonica assimilata dall’inconscio, la regista acquisisce la “narratività” dei luoghi, i suoi linguaggi,le potenzialità e le zone d’ombra di una realtà che non è mai totalmente immanente.
“Uso la telecamera sin da piccola, tutto ciò che vedevo dovevo riprenderlo. Continuo a toccare e conoscere attraverso di essa come un bambino che conosce attraverso il toccare un oggetto” ha affermato la Arena “Riprendo tutto ciò che è reale”.
Un momento di incontro importante e dagli interventi vivaci, quello tenutosi al PluriEstero, che ha visto presenti anche alcuni cineasti locali, e ricco di spunti di riflessione e di interrogativi: qual è il confine tra la comprensione di una realtà e la sua accettazione. Possono luoghi come San berillo costituire un modello di convivenza? Andando oltre le possibili etichette e accettando quella “trasparenza” di cui ha parlato Franchina riguardo agli esseri umani?
“La sua esperienza fenomenologica delle cose le permette di partire dalla realtà, astrarsene e rientrarvi con quanto acquisito” ha affermato un entusiasta Massimo Estero, ideatore della mostra dedicata all’opera filmica di Maria Arena che sarà visitabile sino al 30 novembre.
Livia D’Alotto
Ph. Maria Catalano