Una conferenza è stata tenuta da Anna Marotta su “Il bandito Antonino Di Blasi alias Testalonga”, al salone della Fondazione Marida Correnti, organizzata dall’Università del tempo libero di Aidone e dagli Amici della biblioteca di Pietraperzia. A fare gli onori di casa la giornalista Franca Ciantia, sostenendo che il brigantaggio è un vecchio aspetto dei costumi mediterranei: certamente uno dei più tragici problemi sociali della Sicilia moderna e contemporanea, che del Mediterraneo è il cuore, un fenomeno remoto che risale almeno alla dominazione romana. Quindi la scrittrice Lucia Micciché ha presentato Anna Marotta (neolaureata in lettere ad indirizzo filologico all ’Università di Catania) illustrando un documentario. Nel 1766-77, fra Pietraperzia e Barrafranca si formò una banda che opererà in un vasto territorio della Sicilia centrale. Era guidata dal pietrino Antonino Di Blasi, detto Testalonga, perché aveva “la testa più alta del campanile della parrocchia del suo paese”. Anna Marotta ha inteso restituire “la giusta dignità storica” al brigante con un lavoro di tesi contestualizzando e analizzando “il fenomeno del banditismo nella Sicilia del ‘700 sotto vari aspetti, con particolare riferimento alla vicenda del bandito Antonino Di Blasi”. “Quello del banditismo è un fenomeno non sempre trattato con la giusta oggettività storica -ha sostenuto Marotta- a causa delle consistenti lacune delle fonti penali, così come per il fantasioso ritratto che spesso viene dato ai banditi dai cantastorie; così il brigante si ritrova sospeso in un limbo di storia e leggenda e non si capisce esattamente dove finisca l’una e dove comincia l’altra”. “Il bandito Testalonga esemplifica perfettamente questa caratteristica, la sua memoria, infatti, oscilla ancor’oggi tra mito e veridicità storica, un masnardiere eletto a salvatore della patria da un popolo affamato di pane ed ideali, i cui clichè stridono inevitabilmente con i riscontri oggettivi correlati alla vicenda, ma che, rivisti alla luce del delicato contesto storico e sociale in cui il bandito visse, diventano perfettamente comprensibili, alimentati anche da una comprovata condotta del bandito, alquanto scaltra, non sanguinaria ma carismatica”. “Caratteristiche -ha concluso Anna Marotta- che sono state storicizzate entro il quadro generale del XVIII secolo, che si trasmetteranno come elementi costitutivi della figura, molto di più tarda, del “mafioso” quale veniva ancora delineata negli studi degli anni ’70 del Novecento”. E’ emersa così una storia di derelitti della società, dimenticati, fuoriusciti, le cui vicenda a tratti esprimono molta più umanità e sofferenza di quella mostrata dai cosiddetti gentiluomini, una storia che spesso i libri non raccontano o che riducono in poche righe. Su queste vicende Anna Marotta ha voluto indagare, strappandole alle carte polverose e consumate, facendole anche un po’ sue, perché “già in quegli anni maturava il clima di omertà e di usurpazione da parte dei potenti, di cui ancor’oggi la Sicilia non riesce a liberarsi”.
Nino Costanzo