Rifiuti radioattivi nell’ennese. Deposito unico e rivelazioni
Assoro - 07/08/2015
In questi giorni la cronaca si è riempita di dichiarazioni e notizie circa l’esistenza di un progetto per la realizzazione del Deposito Unico Nazionale per i rifiuti radioattivi nel territorio dell’ennese.
Legambiente, che segue la vicenda delle scorie nucleari a livello nazionale e che ad Enna sin dal 1986 ha monitorato costantemente la questione, chiarendo immediatamente che si opporrà sempre e comunque ad una simile scelta non può fare a meno di chiarire una serie di questioni oggi rese confuse da interventi “a gamba tesa” che consideriamo frutto nella migliore delle ipotesi della paura, nella peggiore di una deliberata volontà di creare allarmismi inutili e pericolosi che distraggono la cittadinanza dalle questioni sostanziali.
Cronologicamente è noto a tutti che nel 1986 la miniera di Pasquasia, allora attiva, venne prescelta dall’ENEA per la realizzazione di un esperimento che doveva studiare la reazione dei depositi geologici salini e delle argille che li ricoprono alle sollecitazioni termiche create dal deposito in essi di scorie radioattive.
L’ENEA scavò allora almeno una galleria (una era quella ufficiale) nella quale dispose una serie di strumenti e di termofori per la creazione di fonti di calore paragonabili appunto al calore delle scorie.
La cittadinanza ennese, e già allora il locale circolo di Lega per l’ambiente (ci chiamavamo così allora), scoperta questa presenza si impegnò in una memorabile mobilitazione che portò infine alla giustapposizione dei sigilli ed alla cacciata dell’ENEA dalla miniera con un provvedimento del sindaco Lauria, poi Senatore della Repubblica.
In quello stesso anno le tre province regionali di Enna, Caltanissetta ed Agrigento e decine e decine di comuni dell’area si dichiararono “denuclearizzati” e quindi indisponibili all’uso del proprio territorio per strutture nucleari sia civili che militari.
L’Italia sempre in quei giorni ebbe a votare il primo referendum sull’energia nucleare e con una schiacciante vittoria fu la prima nazione europea a decretare l’uscita dalla strettoia dell’energia nucleare.
Dopo qualche anno, a seguito di una indiscrezione sulle rivelazioni fatte da un pentito di mafia, tale Leonardo Messina, l’allarme sulla questione scorie si riaccese. Il pentito aveva infatti dichiarato che proprio all’interno della miniera di Pasquasia, nella quale lo stesso lavorava, erano stati illegalmente portati rifiuti pericolosi tra i quali anche rifiuti radioattivi.
Erano gli anni della chiusura della miniera, anche quella una pessima pagina della storia di queste terre. Anni nei quali si vide spegnere il più grande sogno produttivo ed economico del centro Sicilia e la lunga storia della civiltà mineraria isolana.
Da allora, con cadenza quasi regolare, non vi è anno in cui per un motivo o per un altro la questione dell’accantonamento delle scorie dentro le gallerie della miniera non venga alla ribalta della cronaca locale e in alcuni casi nazionale.
Proprio in questi giorni, ad esempio, Pasquasia è tornata alle cronache perché è stato dissequestrato l’impianto di superficie che doveva essere sottoposto a bonifica e che ha visto realizzarsi una sorta di catena dell’illegalità per far sì che la bonifica divenisse modo per traffici illeciti di rifiuti.
In questi lunghi anni, quasi trenta dal 1986, la questione delle scorie “ufficiali” che l’Italia detiene è rimasta aperta. La Unione Europea ha peraltro obbligato tutti gli stati membri in possesso di tecnologie nucleari di ogni sorta a dotarsi di almeno un deposito nazionale per evitare ulteriori traffici legali e non di scorie radioattive da un paese all’altro.
In tal senso è stato affidato alla SOGIN, che è la società di Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare, lo studio per la individuazione di un sito di deposito unico nazionale.
La società, collaborando con l’ISPRA e l’ENEA, ha già nel 2003 stilato un primo rapporto “Studio per la localizzazione di un sito di deposito” siglato come Documento PDN RT 002, nel quale tra le tante cose viene individuata la griglia di valutazione degli ostacoli alla realizzazione del deposito stesso.
Nel documento, peraltro disponibile sul web a chiunque, viene intanto stilata (tab. 9,1 a pag. 65) una lunga lista di siti che geologicamente potrebbero corrispondere alle caratteristiche essenziali per la creazione di un deposito profondo.
Tra questi ben 34 siti siciliani distribuiti tra le province di Enna, Caltanissetta ed Agrigento (quelle con la maggiore presenza di depositi messiniani).
A questa lista corrisponde una prima scrematura che viene descritta nella tabella 9.2 di pagina 67 che vede escludere ad esempio il sito di Centuripe per mancanza di adeguata copertura, quelli di Nicosia e Villadoro perché posti con accessibilità al deposito maggiore a 500 metri sul livello del mare. Dopo questa prima scrematura, vedi caso, rimanevano in lizza, già nella sola provincia di Enna, i siti di Villapriolo (ex Miniera di Corbillo), Pasquasia, Salinella di Enna, Assoro-Agira (giacimento di contrada San Paolo), e Regalbuto.
Lo stesso rapporto si chiude con il paragrafo A.4 “Siti in depositi salini esclusi per caratteristiche geomorfologiche e giaciturali” nel quale, in maniera chiarissima e con descrizione della geologia dei siti, vengono esclusi i siti di Assoro-Agira e di Salinella di Enna oltre che quello di Resuttano che per errore viene collocato in provincia di Enna.
Non v’è dubbio alcuno che in questi giorni la SOGIN, presa anche dalla febbricitante attività del governo nazionale che vuole sbloccare tutte le questioni pessime rimaste aperte negli ultimi 20/30 anni, dalle ricerche petrolifere alle privatizzazioni delle bellezze naturali, stia percorrendo nuovamente la strada per la realizzazione del deposito che, e lo sottolineiamo, dovrà essere fatto.
In molti avranno visto la pubblicità, serena ed edulcorata, che la stessa SOGIN fa passare in questi giorni sulle reti nazionali. Invitante, quasi tale da far chiedere ai territori di essere prescelti per il deposito. Addirittura, seguendo le direttive delineate da ENEA in un apposito documento redatto da Costigliola, Dattola, Savelli, Troiani, nel 2009 “Deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi: linee guida per la definizione di un piano di azioni per informare, coinvolgere e ottenere il consenso del pubblico”, la Sogin propone al territorio ospitante la creazione in loco di un Istituto di Ricerca di levatura internazionale, un toccasana per le economie coinvolte ed investite dalla realizzazione.
Se quindi siamo alla stretta finale, se, come ha dichiarato Giuseppe Regalbuto citando fonti non ancora pubbliche, il sito prescelto dovesse essere quello di Contrada San Paolo di Agira, ci piacerebbe sapere alcune cose ed in particolare:
a) Per quali motivi un sito già escluso per le sue caratteristiche geomorfologiche e giaciturali, caratteristiche che non cambiano in 12 anni, debba essere ripescato;
b) Per quale motivo, qualsiasi sia il sito prescelto, la stessa scelta non debba passare da una valutazione della volontà popolare locale;
c) Come mai si continua ad ignorare che, invece, i siti ritenuti idonei siano quelli delle due ex miniere di sali potassici di Pasquasia e Corbillo;
d) Per quali motivi vista la distribuzione dei rifiuti nucleari quasi tutta concentrata nel Nord e nel Centro Italia, si debba pensare ad un deposito nel Centro Sicilia.
Queste semplici domande, che da sempre Legambiente considera le domande base della questione, non hanno risposta ed aprono altri quesiti e scenari di pessima fattura.
Ad oggi, quindi, non resta che ribadire che la sola ipotesi di realizzare un deposito in Sicilia, e, peggio, nel centro dell’isola, è sinonimo di assoluta incapacità tecnico-pianificatoria, basta infatti valutare le condizioni delle infrastrutture stradali e ferroviarie delle aree considerate idonee (immaginate un carico di scorie radioattive che debba raggiungere Pasquasia o peggio Corbillo), senza incorrere nel pericolo di un incidente di dimensioni catastrofiche. Se a queste si aggiunge il valore enorme dei giacimenti salini oggi non sfruttati per la cecità del Governo regionale ma di certo luoghi di sviluppo futuro, valore che verrebbe immediatamente perso con la creazione del deposito, ci si rende conto che l’ipotesi non è percorribile se non in un contesto di squilibrio pianificatorio e di falsità tecnico-scientifica di estrema colpevolezza.
Legambiente quindi stigmatizza ogni facile allarmismo e, come ha sempre fatto, chiede alla cittadinanza tutta di rimanere serenamente all’erta per evitare con una composta manifestazione di volontà, ogni possibile sciagurata scelta.
Per Legambiente
Giuseppe Maria Amato