Il Martedì Santo, alle ore 11, dalla chiesa di S. Leonardo la nuova Confraternita del SS. Crocifisso di Pergusa si reca in duomo. Essa è stata fondata nel 1973 per iniziativa di coloro che organizzano, in seno alla parrocchia del lago di Pergusa, la festa del “Signuruzzu du Lacu”. Il vestiario riproduce in ogni particolare quello che viene usato dalle “confradias” spagnole. Indossano un camice con un vistoso colletto, mentre le maniche si presentano svasate e con orli gialli. Su di esso uno scapolare rosso che è lungo quanto il camice, una fascia blu con le risvolte a frange pendenti dal lato sinistro, un artistico crocifisso di bronzo che pende al collo da un cordoncino bianco. Questa è l’unica confraternita che non usa mantelletta e che, al posto del tradizionale cappuccio a visiera in stoffa, utilizza quello rigido a punta e in panno.
Alle 16, dalla chiesa di S. Bartolomeo giunge in duomo la Confraternita dello Spirito Santo, percorrendo piazza S. Bartolomeo, via Mercato e via Roma. Costituita nel 1800, riuniva gli agricoltori e i massari della zona di Fundrisi. Aveva sede presso la vecchia chiesa dello Spirito Santo. Tutti i documenti che potevano attestare legalmente la costituzione di questa confraternita furono distrutti durante un incendio che si sviluppò all’interno della chiesa. Dal 1805 la Confraternita dello Spirito Santo presenzia alla “Spartenza” della Domenica in Albis. La mantelletta è di colore amaranto; sul camice una fascia verde, con due risvolte a nappe, pende dal lato destro. I guanti sono pure di colore verde. Sulla mantelletta c’è l’effige dello Spirito Santo che, con la simbolica colomba, si ripete anche sull’insegna del rettore.
Alle 17, dall’attuale piazza Neglia, si muove l’Arciconfraternita delle Anime Sante del Purgatorio. Fu istituita il 9 ottobre del 1615 dal parroco della chiesa di S. Bartolomeo don Giacomo Pregadio, che proprio in quell’anno aveva voluto ingrandire la sua chiesa parrocchiale e far costruire una cappella dedicata al culto delle anime da redimere dal Purgatorio. Il 7 febbraio del 1616 il vescovo di Catania, Bonaventura Secusio approvò il primo statuto della Confraternita. Poco tempo dopo, con lettera inviata alla Santa Sede, si richiedeva al pontefice Paolo V di aggregare questa istituzione alla Compagnia della Morte di Roma. Tale privilegio fu concesso con bolla papale il 22 agosto del 1616 e da allora i confrati delle Anime Sante del Purgatorio godono delle stesse intercessioni e indulgenze dei confratelli romani e si fregiano dello stesso emblema: il teschio con due ossa incrociate. Nel 1626 il Papa Urbano VIII arricchì la Confraternita di privilegi spirituali. Essendo in età molto avanzata il parroco Pregadio, con testamento stilato presso il notaio Carlo Planes l’11 giugno del 1665, lasciò ogni suo avere alla Confraternita. Avendo necessità di ingrandire la cappella, visto soprattutto che essa si trovava al capo estremo della città, i confrati decisero di acquistare un appezzamento di terreno vicino la parrocchia di S. Tommaso per costruire il nuovo oratorio. Il parroco di questa chiesa, don Francesco Lambadura dei conti Fidotta, chiese l’autorizzazione al vescovo di Catania mons. Ottavio Branciforte e i lavori ebbero inizio il 15 gennaio del 1671. Vent’anni dopo, il 26 aprile 1691, con testamento stilato presso il notaio Giacomo Bruno, il parroco Lambadura lasciò tutti i suoi averi alla Confraternita col compito di amministrarli e di celebrare giornalmente una messa in suffragio delle anime del Purgatorio. Rendite di questo genere arricchirono notevolmente la Confraternita: i terreni venivano dati in gabella e, in media, il reddito registrato era di trentadue ducati, che costituivano, per quei tempi, una considerevole rendita. Negli archivi della Confraternita, infatti, sono conservati numerosi fascicoli di ingiunzioni a carico degli affittuari morosi. Nel 1712 la congrega fu onorata dal viceré di Sicilia dei titoli di Venerabile e Lata e da allora fu chiamata Arciconfraternita. Nel periodo risorgimentale è nota l’attività patriottica dei suoi confrati. Tra essi vanno ricordati i baroni Castagna, i conti D’Ajala, i marchesi di Terrasena, i baroni Rosso, i baroni Varisano, i baroni Pollicarini, i marchesi Geracello. Per questo suo passato l’Arciconfraternita delle Anime Sante del Purgatorio è intesa, per antonomasia, come quella dei nobili. Il rettore aveva il privilegio di liberare tre condannati a qualsiasi pena, nel giorno del 2 novembre. Nell’archivio della congrega si possono leggere alcuni documenti in cui viene riferito che il 2 novembre del 1716 il Monsignore Governatore dell’Arciconfraternita don Antonio Piazza, in pompa magna e in forma rituale, si recò presso la cappella della Pietà, l’attuale chiesa della Addolorata, per graziare tre condannati a morte che dovevano essere giustiziati all’alba. Uno degli scopi della congrega era quello di accompagnare sul luogo del supplizio i condannati a morte e assisterli durante il trapasso e il lunedì successivo all’esecuzione il rettore presenziava alla messa in loro suffragio. Per questo motivo l’Arciconfraternita era nota anche con il nome della “Buona Morte”. Solamente il 26 settembre del 1771 i confrati si rifiutarono di adempiere a questo compito perché il condannato, il nobile Francesco Carnazza, accusato di aver ucciso lo zio, il priore Melchiorre Grimaldi, non era reo confesso. Toccò allora alla Compagnia dei Bianchi adempiere questo mesto dovere. Altro privilegio molto importante, che tuttora possiede l’Arciconfraternita, è quello dei mazzieri, decretato il 6 dicembre del 1789 dal re di Spagna Carlo IV di Borbone: con questo documento veniva imposto al Comune di cedere per il Mercoledì Santo (il giorno in cui originariamente la Congrega si recava in adorazione in duomo) e il Venerdì Santo, le mazze d’argento con gli stemmi municipali. I mazzieri, che una volta vestivano mantelli rossi di velluto damascato, una livrea di pizzo bianco, una ricca parrucca sul capo e guanti bianchi, calzettoni rossi e le scarpe di vernice con fibbie di argento, reggevano queste mazze e aprivano ogni corteo e processione. Oggi invece, i Mazzieri delle Anime Sante del Purgatorio vestono un camice bianco a sacco, un lungo scapolare nero e un ampio mantello, anch’esso nero, con a sinistra lo stemma ricamato del teschio con le due ossa incrociate. Sul capo portano il cappuccio a visiera e la corona di vimini. Il vestiario dei confrati, davvero lugubre, è caratterizzato dal predominante colore nero; neri sono la mantelletta, lo scapolare, il cingolo con due nappe pendenti dal lato destro, la corona di rosario composta da dieci sfere con alla fine una croce e un teschio di legno verniciato, i guanti, i pantaloni, le calze e le scarpe. Un tempo potevano essere accolti tra i confrati delle Anime Sante del Purgatorio solo i medici, gli speziali, i professori e gli uomini di vera fede. Tra i rettori più illustri, il prof. Morgana, che in tempi a noi vicini ha fatto rivivere attraverso l’Opera di S. Vincenzo de’ Paoli la tradizionale assistenza ai carce-rati.
Alle 19, dal Santuario di S. Giuseppe parte la processione del collegio di questa chiesa. Fondato nel 1580 dai confratelli del Transito del Patriarca, e ricostituito nel 1933, riunì il Collegio della Passione di S. Giuseppe fondato nel 1509, il Collegio di S. Apollonia costituito con atto del notaio Geronimo Spina il 26 febbraio 1557 (Procuratori don Giovanni Battista Marzullo e Biagio Cammarata), la Confraternita di S. Girolamo e S. Apollonio istituita nel 1516. I confrati del Collegio di S. Giuseppe hanno il privilegio di portare la Madonna che nel giorno di Pasqua si incontra col Cristo Risorto nella ricorrenza della tradizionale “Paci” per poi dividersi, sette giorni dopo, durante la “Spartenza”. La mantelletta dei confrati, che è damascata, è di colore verde oliva. Fino ad alcuni decenni fa, completavano il ciclo di adorazioni del Materdì Santo le parrocchie di S. Biagio, S. Leonardo, S. Bartolomeo, S. Pietro, l’Associazione Figli di Maria SS. della Visitazione, la Congregazione dei Carmelitani, l’illustrissimo Senato cittadino. Quest’ultimo era formato dai sessanta seniori che sino al 1759 partecipavano alla processione montando a cavallo, e che partendo dalla vecchia chiesa di S. Giovanni (che sorgeva allora dove oggi hanno sede gli uffici comunali) pervenendo in piazza Duomo, lasciavano i cavalli agli staffieri ed entravano pregando in chiesa.
Rino Realmuto
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