Una recente perlustrazione dei siti archeologici orbitanti intorno al paese di Calascibetta ha consentito l’individuazione di diversi insediamenti rupestri che, ancora oggi recano chiari segni delle comunità cristiane che vi si insediarono durante il periodo della dominazione bizantina della Sicilia, durata dal 535 all’827 d.C.. Sono stati posti all’attenzione gli insediamenti di contrada San Giuseppe, contrada Gazzana, contrada Buonriposo, vallone Cacarella e vallone Canalotto. Particolare interesse, fra questi, riveste l’abitato rupestre di vallone Canalotto; il sito, situato a circa sei chilometri ad ovest dal centro abitato di Calascibetta, è costituito da un nucleo principale di agrottati, ubicato nella parte iniziale del vallone, che sfruttano un’insenatura di roccia arenaria profonda circa trenta metri. Nell’ambito dello stesso sito si trovano, isolate dal nucleo principale, altre strutture rupestri ad uso religioso e civile, per un totale di trenta ambienti. L’area è segnata da muri di contenimento e sentieri di collegamento. Le caratteristiche tipologiche che rendono il sito di vallone Canalotto unico nel vasto panorama degli insediamenti rupestri della Sicilia e dell’Italia meridionale, sono da ricondurre alla presenza di un maggior numero di ambienti a carattere religioso rispetto a quelli di uso civile; sono stati individuati almeno quattro oratori, due dei quali richiamano un impianto basilicale ad una sola navata con annessi vani di servizio. Di notevole interesse sono gli ambienti soprastanti due di questi luoghi di preghiera, nelle cui pareti sono state ricavate delle nicchie destinate alla posa di urne funerarie. Si tratta di ipogei funerari che rientrano nella tipologia dei ‘colombaria’ di età romana, chiamati comunemente “spezierie”. La peculiarità dei “colombaria” di vallone Canaletto consiste nel fatto che tutti quelli rinvenuti si presentano connessi con altri vani di cui è possibile ipotizzare una destinazione cultuale successiva. La presenza in questi ambienti di croci e di simboli cristiani ricavati nella roccia porterebbe ad escludere una datazione alta e a propendere per il periodo bizantino o post-bizantino, quando il Cristianesimo era già penetrato nell’interno della Sicilia. Di particolare pregio è il colombario soprastante l’oratorio centrale cui si accedeva attraverso un’apertura praticata nel soffitto, probabilmente tramite una scala lignea. In una parete di questa cripta, la dismissione di alcune della nicchie di cui è costellata, ha dato origine a una grande croce. Nel primo oratorio rupestre, posto all’ingresso del villaggio, nella parete laterale destra furono incisi dei simboli che permettono, attraverso i confronti, una datazione dell’utilizzo della struttura intorn al VI-VII sec. d.C.; si tratta di una croce rinforzata ai lati che compare in Sicilia come motivo iconografico nei sarcofagi bizantini del VI-VII sec. d.C., rinvenuti a Siracusa. A fianco della croce è stata incisa una stella, che nella simbologia religiosa rappresentava la costellazione delle basiliche cristiane, corona dei martiri e aureola di fede, ed un chrismon (monogramma di Cristo). Un altro dato interessante che si ricava dallo studio preliminare del sito è quello riferito alla diversa destinazione d’uso dei vari ambienti nelle diverse epoche storiche e preistoriche. Si può infatti affermare, senza alcun dubbio, che l’area di vallone Canaletto fino al III-IV sec. d.C. veniva utilizzata esclusivamente come necropoli, lo conferma la presenza di tombe a grotticella artificiale di età preistorica, di tombe a camera di età greca e infine i colombaria di età romana. Il cambio d’uso avvenuto successivamente rientra in quella visione evangelica della vita propria delle comunità monastiche che prevedeva anche l’occupazione di aree cimiteriali pagane da riabilitare consacrandole a Dio. Alcune croci incise all’ingresso dei colombaria o sul dromos di tombe preistoriche ci testimoniano questa pratica religiosa. A fianco agli ambienti rupestri religiosi sono state anche individuate strutture legate alle attività produttive: si riconoscono infatti palmenti ricavati nel piano roccioso, a pianta rettangolare, con vasche di decantazione comunicanti. Il palmento è un elemento costruttivo tipico della tradizionale enotecnica meridionale: si tratta di un complesso di recipienti destinati a ricevere l’uva, alla sua pigiatura e fermentazione. Databili in età tardo-antica e bizantina, venivano spesso ricavati da sepolture tardo romane svuotate del loro contenuto e adattate per la produzione del vino e dell’olio. Alcuni palmenti, considerati sacri, potevano anche essere destinati a riti e funzioni religiose in cui il valore i simbolico del vino rimandava a quello del sangue di Cristo offerto in sacrificio. Oltre ai palmenti, vi sono tracce dell’esistenza di mulini: all’interno di uno degli ambienti ritrovati, infatti, la presenza di tagli regolari nelle pareti è da ricondurre alla utilizzazione di macchinari per la trasformazione e la lavorazione di prodotti agricoli o di quelli derivati dall’allevamento. L’importanza di questi ambienti è evidenziata dal fatto che, nei manoscritti e negli affreschi monastici, il lavoro viene rappresentato e celebrato. La presenza di questi insediamenti di cui ancora nei primi anni del novecento rimaneva traccia nei toponimi delle contrade resi sulle carte topografiche della zona (Oratorio Polveriera, Oratorio San Nicola, Oratorio San Michele) è da ricondursi certamente ad un periodo storico del centro Sicilia poco studiato anche se la documentazione esistente lascia intravedere l’importanza che questi insediamenti ebbero in chiave anti-islamica avendo costituito l’ultimo baluardo cristiano contro la conquista della Sicilia da parte degli arabi.
Sandro Amata