Il patrimonio artistico di Catania – by Federico De Roberto

«Ti giuro – e tu mi devi credere – che se avessi saputo e potuto, se mi avessero preso, avrei fatto il contabile, il magazziniere, lo scaricatore, il lustrascarpe (guadagnano 40 lire quotidiane); per forza di cose, dovetti, invece bruciare le edizioni invendute, accettare che si ristampassero quelle esaurite da venti e trent’anni, e ricominciare a metter nero sul bianco. È la sola cosa ch’io sappiae possa fare, e dalla quale riesca a cavare qualche poco di denaro»; così scriveva nel 1924 all’amico Di Giorgi un De Roberto sopravvissuto a se stesso, soffrente e impoverito, definitivamente confinato in provincia all’ombra della madre esigente e possessiva.
A offrire qualche tardivo e parziale conforto a quelle angustie da nuovo povero e al cruccio dell’incompreso sarà la municipalità etnea, e cioè i pubblici amministratori d’una città solitamente immemore e ingrata, avvezzi piuttosto a divorare i suoi figli migliori (nel migliore dei casi, ad espellerli) che non ad onorarne la grandezza quanto meno, a sfruttarne le competenze. L’anziano ex bibliotecario era stato nominato per regio decreto già nel 1899 membro della commissione conservatrice dei monumenti per la provincia di Catania, e nel 1906 d’una commissione incaricata di studiare e attuare l’istituzione d’un Museo Nazionale, alloggiandovi le collezioni dei Biscari e altre donazioni.
Il museo civico sarà inaugurato, nei saloni federiciani del castello Orsino, cinque anni dopo la morte dello scrittore, non senza contrasti e polemiche cui lo scrittore aveva partecipato, dissentendo fra l’altro con l’archeologo Guido Libertini, artefice di quella impresa. Un tormento, ieri e oggi, per i catanesi, quel museo eternamente incompiuto tra pubbliche ignavie e tornaconti privati, tra progetti disattesi e strombazzate millanterie. Ma intanto De Roberto era stato gratificato con il prestigioso incarico (tuttavia meramente “onorario”) di sovrintendente alle Belle Arti, che forse non alleviò i suoi stenti ma arricchì quegli ultimi anni con la laboriosa appendice d’un interesse e d’un amore ritrovati per quella città che nei Viceré egli aveva ristretto nelle misure anguste e malsane di un nido di vipere; e per la sua storia, per il suo ricco patrimonio artistico.
Il 1907 è l’anno della monografia riccamente illustrata su Catania, che fa perno su quelle ricchezze e quei fasti, ma li prolunga e li fa culminare nell’immagine ottocentesca della città, consegnata ai posteri come misura di civiltà signorilmente festosa e di devoto teatro della memoria.
Un anno dopo è la volta del catalogo dell’Esposizione, curato da De Roberto, e nel 1909 di Randazzo e la valle dell’Alcantara. E sono infine del 1927, da maggio a luglio, dunque contigui alla morte dell’autore, questi articoli sul Patrimonio artistico di Catania pubblicati dal locale “Giornale dell’Isola” e ora finalmente raccolti in volume, per la cura competente e appassionata di Dario Stazzone.
Fra gli altri, vi figurano gli scenari ricchi di memorie private del monastero dei Benedettini, nei cui locali secolarizzati De Roberto studiò da ragazzo e lavorò da adulto, ma nei cui ambulacri – e nelle navate del tempio – avrebbe pure ambientato i biechi complotti dei Viceré e il delirio distruttivo della novella Donato del Piano.
Un amore ritrovato, dunque, se si pensa alle battaglie ingaggiate a mezzo secolo prima dal giovanissimo cronista, che faceva pratica e già allora affilava le lame della polemica. Un amore tutto nuovo, se invece si bada a quel groviglio di attrazione e di astio per la “bicocca” etnea solo in ultimo, forse, sciolto in favore d’una rasserenata sollecitudine. Comunque, un amore non ricambiato. Catania non amava De Roberto, così come non era riuscita ad amare né ad intendere Verga: lo ricorda in una memorabile pagina Vitaliano Brancati, spettatore a distanza, da giovane, della solitudine laboriosa e dei leggendari scrupoli dello scrittore, il cui esempio di probità e rigore non poteva che risultare, in quegli anni di chiassosi e rissosi azzardi, fastidiosamente intimidatorio.
Com’è ancor oggi. A maggior onta e danno per tutti noi.
Antonio Di Grado
© Papiro editrice Enna – giugno 2009

Questa ristampa anastatica della Catania di Federico De Roberto vuole celebrare il centenario della sua prima pubblicazione, avvenuta nel 1907, e rendere omaggio a un illustre catanese che, oltre ad essere stato il geniale autore dei Viceré e di numerose altre opere meno celebri ma altrettanto importanti, si è distinto come un erudito e appassionato cultore di archeologia, di storia dell’arte e di fotografia.

 
Si ringrazia la Dottoressa Rita Carbonaro, Direttrice della Biblioteca Civica Ursino Recupero di Catania, per avere cortesemente permesso la consultazione dell’edizione originale della guida di Federico De Roberto.

© Papiro editrice Enna – Ristampa: Aprile 2007

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