La festa del Sacro Cuore di Gesù ad Enna

Enna 25/06/06 – L’ultima domenica del mese di giugno, ricorre la festa del Sacro Cuore di Gesù, ripresa nel 1992, dalla omonima Confraternita che ha sede presso la chiesa di Santa Maria del Popolo, sita sulla parte più alta di via Vittorio Emanuele. Dopo anni di abbandono, la chiesa è stata recentemente restaurata e riaperta al culto. I lavori si sono protratti per qualche tempo sotto la guida della Soprintendenza regionale per i beni culturali ed ambientali, su progetto semiconservativo degli architetti Silvana Virlinzi e Renata Salerno.
La storia della chiesa di Santa Maria del Popolo risale ad un periodo certamente antecedente al 1600, poiché ne fa menzione padre Giovanni de’ Cappuccini nella sua “Historia di Castrogiovanni”. Nel 1550 vi si insediò un monastero e pare che precedentemente ci fosse una cappella o una chiesa dedicata a S. Agata e una delle torri di avvistamento che faceva parte del sistema difensivo della città.
Nel 1738 fu concesso un prestito in denaro alle suore del convento per riparare i danni causati dal terremoto dell’11 gennaio 1693, nonché per la costruzione del campanile e di uno spiazzo antistante la chiesa.
Nel 1826 il monastero affidò a mastro Giovanni Pitta i lavori di ristrutturazione della chiesa, su progetto dell’ingegnere Gaetano Lo Piano di Caltanissetta, mentre nel 1827 si diede incarico al pittore Saverio Marchese di eseguire gli affreschi della navata e dell’abside. Le suore che appartenevano all’ordine carmelitano erano di stretta clausura e nel 1842 si trasferirono nel convento di S. Marco-le Vergini, come anticamente veniva chiamato.
Con l’unificazione del Regno d’Italia e la promulgazione delle famose leggi di soppressione, gran parte dei beni ecclesiastici furono confiscati dallo Stato nel 1866. Stessa sorte toccò alla chiesa di Santa Maria del Popolo e nel 1892 divenne sede della caserma militare “Panzera”. Adiacente c’era pure un edifìcio dove esisteva una stazione di arrivo e partenze per i piccioni viaggiatori, che venivano usati come mezzi di comunicazione, e per questo il quartiere che si estende verso il Mulino a vento viene chiamato ancora oggi Colombaia.
Dopo la seconda guerra mondiale la chiesa fu riaffidata al clero che la riaprì al culto nel 1943 dopo il bombardamento alleato del 13 luglio dello stesso anno. Una delle cappelle fu dedicata al Sacro Cuore di Gesù, la cui immagine proviene dalla chiesa di S. Paolino al cimitero, antica sede della Confraternita che poi si trasferì nella chiesa di Santa Chiara.
La Confraternita del Sacro Cuore di Gesù, fondata dai fratelli Termini nel 1839, riuniva la categoria degli zolfatai e dei minatori. Anticamente la loro uniforme prevedeva un camice bianco con la coda, così come i confrati dell’Immacolata e dell’Addolorata quando si recano in duomo durante la Settimana Santa per l’Ora di adorazione.
A cura dei confrati del Sacro Cuore di Gesù, completati gli ultimi lavori di restauro, è stata ripristinata la festa che di quartiere si è trasformata in processione esterna che coinvolge l’intera città, il simulacro del Sacro Cuore viene portato a spalla su un fercolo molto antico e semplice nello stile, una sorta di baldacchino issato su una base quadrangolare e sorretto dalle aste.
Dopo aver attraversato i quartieri della Colombaia e Mulino a Vento, scendendo per la strada che costeggia il carcere, la processione arriva all’ospedale, dove viene impartita una benedizione agli ammalati, e poi si snoda per via Trieste sino alla piazza antistante la chiesa del Carmine; raggiunta la via Roma i confrati risalgono verso il duomo, per poi fare ritorno nella chiesa di Santa Maria del Popolo attraversando la via Vittorio Emanuele.
Fra le tante pratiche di culto del Sacro Cuore di Gesù, tramandate dai fedeli, c’è pure una preghiera in dialetto che viene ancora recitata dai devoti:
Patri mi crucifissu
ccà ccù vui vinni a prigari
ppì li vosci santi chiova,
m’aviti a diri:
echi vi ficiru di mali ?
Vìnici figlia, ca ti li dicu:
“Furru li chiovi di la testa
ca mi pèrsuru unì la tempesta.
Furru li chiova di lu custatu
ca mi niscì l’arma e lu jatu.
Furru li chiova di li dù manu
ca lu cori m’ingagghiaru.
Furru li chiova di li pidi
ca nun potti cchiù stari ‘mpidi”.
Alla chiusa cunsacrata
‘ngunucchiata, ‘ngunucchiata
ppì tri voti vi lu dicu
ca sta grazia m’aviti a fari.
(qui si implora la grazia richiesta)
O Santissimu Ecce Homu,
quantu iè bellu ‘u vosciu nomi,
nun ragiunari e nun scusari
ca sta grazia m’aviti a fari.

Rino Realmuto

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