Riserva naturale orientata del monte Capodarso e della Valle dell’Imera Meridionale

Affidata in gestione a Italia Nostra, questa riserva naturale orientata si estende su di un territorio di ben 1.485,1 ettari (679,7 di Zona A e 805/3 di zona B). Le grandi dimensioni della riserva, posta a cavallo tra la provincia di Enna e quella di Caltanissetta, nei comuni di Pietraperzia, Enna e Caltanissetta, ne fanno una delle maggiori aree protette dell’isola. Già negli anni settanta veniva a gran voce reclamata la necessità di proteggere il corso centrale del fiume da speculazioni, cave e cementificazioni di ogni sorta. Nonostante questo forte movimento di opinione la vallata venne però deturpata dalla realizzazione della strada di scorrimento veloce Caltanissetta-Gela, svettante con i suoi viadotti proprio lungo il corso del fiume. Oggi, dopo l’agognata istituzione e l’affidamento, la vallata è protetta dall’altezza della stazione ferroviaria di Imera, lungo la linea ferrata Catania-Palermo, al ponte di Bésaro, a Sud. Qui si trovano le gole di Capodarso ed una serie di magnifici ambienti naturali, non solo fluviali, che costituiscono un forte elemento di richiamo per gli amanti del turismo d’ambiente. Ampie gorene, con meandri e pozze di acqua salata, tale è l’acqua del fiume, sono habitat per diverse specie ornitiche sia di passo che stanziali, tra le quali le folaghe, le gallinelle d’acqua, diversi ardeidi, ma anche di rettili ed anfibi, mammiferi e centinaia di specie di invertebrati. Nei mesi primaverili ed estivi, non è raro incontrare la testuggine palustre (Emys orbicularis) che si nasconde tra la vegetazione acquatica per sorprendere le sue prede. La riserva, facilmente raggiungibile sia da Enna che da Caltanissetta, difende anche alcuni tra i maggiori siti della civiltà mineraria siciliana: la vallata, spettacolare con le due cime di Capodarso ad est e Sabucina a ovest, popolata sin dalla più remota antichità, ha scavato i depositi dell’altipiano gessoso solfifero sino a favorire la coltivazione di miniere di zolfo su ambedue le rive. Nacquero così la miniera di Trabonella e su quella ennese il complesso minerario di Giumentaro e Giumentarello. Con il crollo del mercato dello zolfo siciliano e con il progressivo smantellamento dell’EMS, i due complessi minerari vennero abbandonati ed oggi sembra quasi che i lavoranti, i “carusi” di un tempo, siano fuggiti poche ore prima da chi sa quale minaccia, lasciando sul terreno i cumuli del materiale grezzo, gli utensili, i registri paga, le auto, i mezzi sotterranei.
L’atmosfera, certamente apocalittica, è quella dell’incomprensibile capacità siciliana di dimenticare la propria storia, oggi, tra queste rovine archeologiche di soli vent’anni fa, si aggirano frastornati studenti in visita che, pur essendo figli e nipoti dei minatori, non hanno più alcuna idea di cosa possa celarsi dentro questa terra aspra ma ad un tempo generosa.
L’altura di Capodarso, magnifica con la sua lunghissima rocca calcarenitica di colore ambrato, spettacolare al tramonto, nasconde cavità carsi che inesplorate, delle quali un piccolo assaggio è dato da ciò che resta della “Grotta delle Meraviglie”.
Inoltre i resti di un centro indigeno ellenizzato, che del monte occupava la cima e del quale rimangono in vista migliaia di cocci ceramici, un muro ad aggere ed una misteriosissima e scenografica scala che scende per alcuni gradini per poi proiettarsi nel vuoto della rocca che guarda a nord ovest.
Nessuno ha sinora compreso il significato di questa scala, forse simbolico tragitto verso mondi sovrannaturali o luogo di supplizi, forse, ancora, via di fuga un tempo dotata di corde e scale a pioli.

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redazione-vivienna